regole
N.54 novembre 2024
Marco Aime: «È dalle regole che nascono le culture»
Dialogo con l'antropologo Marco Aime sulla nascita e sulla natura delle regole: «Creiamo culture fatte di regole, le abbiamo forgiate noi stessi ma poi, inevitabilmente, ne siamo rimasti impigliati»
«Quanto tempo impiega un cucciolo per imparare quello che gli serve per sopravvivere?»
La domanda ci lascia un attimo interdetti perché, a porla, è un antropologo. Profondo conoscitore degli uomini, professore di Antropologia Culturale presso l’Università di Genova oltre che eccellente divulgatore, Marco Aime prosegue il proprio discorso: «In qualche settimana, massimo un mese, un gatto impara a fare il gatto, un pesce impara a fare il pesce. Tra tutti gli animali, noi esseri umani siamo gli unici che, così come siamo fatti, non funzioniamo. Non siamo particolarmente veloci, non voliamo, non abbiamo né zanne né artigli, anche nell’acqua non ce la caviamo bene… Alcune volte, però, essere specializzato può diventare uno svantaggio: se nasco orso polare e vado in Sicilia, o anche dromedario e vado in Finlandia, mi trovo a disagio. Noi ci siamo diffusi in qualsiasi angolo del pianeta perché l’incompletezza che abbiamo fin dall’origine possiamo riempirla, sempre in modo diverso, con quello che chiamiamo cultura. La nostra debolezza è diventata un punto di forza».
I passaggi in cui ci guida Aime appaiono semplici, quasi ovvi, ma sono il frutto di anni di studi e, soprattutto, ci stanno conducendo al motivo per il quale lo abbiamo interpellato: scoprire dove sono nate le regole.
«Immaginate i nostri antenati preistorici in mezzo alla savana: è piena di bestie feroci pronte a sbranarli; eravamo fragili e indifesi, occorreva inventarsi qualcosa. Abbiamo immediatamente compreso che, per riuscire a sopravvivere, dovevamo fare gruppo: così ci siamo inventati la socialità. Questo ha comportato darsi dei limiti, delle regole da rispettare, pena l’estinzione».
Una volta trovato nel “fare gruppo” una soluzione efficace per evitare la scomparsa dalla faccia della terra, cos’è accaduto?
«Ogni società ha iniziato
a dare delle risposte specifiche:
abitazioni, vestiti e tabù diversi
dettati dalle differenti condizioni
ecologiche, climatiche, fisiche.
Così sono nate le culture»
«Nell’arco di qualche decina di migliaia di anni abbiamo colonizzato il pianeta; partendo dalla savana e andando verso il mare Mediterraneo, ogni ambiente ha posto delle sfide diverse alla nostra sopravvivenza. Di volta in volta siamo diventati marinai, uomini del deserto, montanari. Ogni società ha iniziato a dare delle risposte specifiche: abitazioni, vestiti e tabù diversi dettati dalle differenti condizioni ecologiche, climatiche, fisiche. Così sono nate le culture».
Il percorso in cui ci sta guidando Marco Aime suscita l’immediata riflessione che, gran parte di ciò che riteniamo “naturale” sia, in realtà, frutto di una costruzione, “artificiale”.
«Noi umani creiamo culture fatte di regole, le abbiamo forgiate noi stessi ma poi, inevitabilmente, ne siamo rimasti impigliati; siamo esseri abitudinari, dopo molto tempo ci appaiono ineluttabili. In antropologia si sta alla larga dal “naturale” perché spesso, ciò che ci appare tale, in realtà è frutto di abitudine, ripetizione di cose che abbiamo creato noi».
Esistono regole che vengono rispettate ovunque?
«È molto difficile individuarle; uno dei pochi dati universali è l’evitamento dell’incesto, per il resto ci sono dei tabù, cioè dei modi per porre dei limiti all’azione dell’uomo, onde evitare che gli esseri umani esagerino. Nel mondo occidentale li abbiamo un po’ persi, ma esistono ovunque tabù alimentari, religiosi, sessuali, non immutabili ma destinati a cambiare nel tempo. Altri elementi comuni a diverse culture li possiamo trovare nel divieto di furto e di omicidio, anche se vengono formulati in maniera molto diversa. Il rispetto della vita è quasi universale, trova eccezioni solo in popoli che, durante determinate ritualità, uccidono membri del proprio gruppo.
Nel mondo esiste una grandissima varietà di regole rispettate anche se non scritte perché fanno parte del comportamento condiviso; se non le si osserva si crea turbamento: per esempio nei paesi anglosassoni quando si è a tavola in più persone non si incrociano mai le conversazioni, cosa che in Italia succede spesso; oppure in alcune zone dell’Africa non si può guardare un anziano negli occhi perché è considerata una grave mancanza di rispetto».
Approfittiamo della gentilezza e della disponibilità del professore per chiedere la sua una opinione rispetto agli allarmi che ogni giorno vengono lanciati relativamente al comportamento degli adolescenti.
L’adolescenza è da sempre un periodo di transizione: i giovani sfidano la norma. L’adulto ha il compito di fermarli quando la trasgressione diventa pericolosa
«I ragazzi devono trasgredire per capire dove stanno i limiti. L’adolescenza è da sempre un periodo di transizione: i giovani sfidano la norma. L’adulto ha il compito di fermarli quando la trasgressione diventa pericolosa.
Personalmente penso che sarebbe più allarmante se gli adolescenti non infrangessero le regole perché la trasgressione porta anche innovazione. È un fenomeno che accade da sempre: quando si è vecchi non si ricorda più quello che si è fatto da giovani; io ho vissuto la mia gioventù negli anni Settanta, c’era un maggiore rifiuto delle generazioni precedenti rispetto ad ora, c’era più trasgressione e sperimentazione; allora la frattura tra generazioni era maggiormente cercata, adesso avviene ma non è cercata».
Se è vero che in qualche settimana un gatto impara a fare il gatto e un pesce impara a fare il pesce, l’uomo per imparare a fare l’uomo ha bisogno di molte esperienze e di molta strada. In questo percorso, nel bel mezzo della giovinezza, i ragazzi non possono sapere cosa pensano e provano i vecchi. Ma –come afferma J. K. Rowling – non esistono giustificazioni al fatto che i vecchi non si ricordino cosa significhi essere giovani.