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N.58 aprile 2025

associazioni

Famiglie unite per accendere il buio dell’indifferenza che può circondare l’autismo

Il presidentedi "Accendi il buio" Simone Pegorini racconta le attività e lo spirito che anima l'associazione nata nel 2010 per offrire supporto e occasione di incontro alle famiglie con figli autistici, promuovere attività per i ragazzi, contribuire a una cultura capace di donare un sorriso

Le foto di questo servizio sono gentilmente concesse dalla associazione “Accendi il buio” Onlus

L’associazione di famiglie Accendi il Buio OdV nasce nel 2010 grazie a un gruppo di genitori che, incontrandosi durante le prime terapie disponibili in città – rese possibili da un accordo tra Fondazione Sospiro e l’ATS di Cremona – decisero di unire le proprie esperienze.
L’obiettivo dell’associazione è condividere i percorsi intrapresi, promuovere la consapevolezza sull’autismo, offrire supporto reciproco agli associati e contribuire alla crescita culturale su una condizione che coinvolge bambini, ragazzi e adulti.

La difficoltà di comunicazione tipica dell’autismo conduce infatti a una sorta di isolamento, dovuto a una carenza di rapporti all’esterno della famiglia, che in età scolare si riduce alle frequentazioni scolastiche e, in seguito, si impoverisce ulteriormente, perché nell’età adulta manca quasi sempre uno sbocco occupazionale.

A raccontarci dell’associazione e delle sue attività è il presidente Simone Pegorini, papà di Giulio, un giovane adulto autistico.

«Tra genitori iniziammo a incontrarci quando il reparto di neuropsichiatria infantile fece un accordo con Fondazione Sospiro, che si accreditò per erogare le terapie. Fino ad allora a Cremona non c’erano le competenze necessarie per affrontare l’autismo infantile, e questa fu anche la scintilla che fece nascere un gruppo di genitori, fra Cremona e Crema, che si resero conto che mancava un’associazione che potesse rappresentare le famiglie ed essere una voce unica nei confronti delle istituzioni. È così che nacque Accendi il Buio, oltre che dalla necessità di confrontarsi e, soprattutto, di non sentirsi soli».

Nel tempo la pelle dell’associazione è cambiata, divenendo sempre più attiva nel fare pressione sulle istituzioni affinché facessero qualcosa per l’autismo e, in seguito, prendendo consapevolezza che l’associazione stessa poteva concretamente fare qualcosa per i ragazzi e per le loro famiglie. «Abbiamo allora iniziato ad organizzare incontri, tra i quali un convegno a livello nazionale a Cremona, nel 2019 – prosegue Pegorini – al quale abbiamo invitato anche figure di spicco del Governo e della Regione Lombardia, portando alle istituzioni il punto di vista delle famiglie, di chi il l’autismo lo vive quotidianamente e non per lavoro».

Oggi Accendi il Buio è attiva anche nell’organizzazione di attività per ragazzi, dai bambini fino agli adolescenti e ai giovani adulti.

«Ci siamo posti l’obiettivo di riempire il vuoto che si crea intorno a queste persone, offrendo loro occasioni per uscire di casa, incontrare gli altri, svolgere attività e costruire esperienze che, senza un intervento esterno, non avrebbero occasione di poter vivere».

«Ci siamo posti l’obiettivo di riempire il vuoto che si crea intorno a queste persone, offrendo loro occasioni per uscire di casa, incontrare gli altri, svolgere attività e costruire esperienze che, senza un intervento esterno, non avrebbero occasione di poter vivere»

L’associazione cura principalmente due progetti: Atletica e Tempo Libero. Il primo consiste in un programma di attività ginniche con risvolti ludici e si svolge in palestra, mentre il secondo prevede attività ricreative, di socializzazione e di arricchimento culturale, che portano i partecipanti in diversi contesti.

L’organizzazione delle attività e l’assistenza di cui i partecipanti hanno bisogno, sono affidate a educatori professionali, che garantiscono una programmazione efficace e un accompagnamento sicuro.

A partire dal 2021 l’attività Atletica ha coinvolto partecipanti di ogni fascia d’età e quest’anno conta 30 iscritti. Quanto al progetto Tempo Libero, questo è stato inizialmente rivolto ai giovani adulti, per poi essere esteso negli anni anche ai più giovani, con due nuove iniziative dedicate ai bambini da 4 a 10 anni e agli adolescenti. Attualmente oltre 50 persone sono iscritte al progetto nelle tre fasce d’età.
Le attività di Tempo Libero si differenziano per fasce d’età, con giochi, esperienze sensoriali e interazione con gli altri per i più piccoli, mentre per gli adolescenti vengono organizzate passeggiate, gelati al bar, merende al parco, visite a fattorie didattiche e giochi di società. Per i più grandi sono invece previsti pomeriggi al cinema, serate in pizzeria, partite di bowling, visite a mostre, musei e monumenti, gite e weekend in località turistiche.

«Si tratta di attività pensate per impegnare in modo costruttivo il tempo libero, quello che resta dopo la scuola, lo sport per chi può farne e gli altri impegni, perché i genitori si rendono conto che questi ragazzi o giovani adulti sono costretti a stare troppo isolati in casa, con una mamma, un papà o dei nonni a stargli vicino. Queste attività mirano a investire il loro tempo evitando che debbano trascorrerlo interamente in casa, per rassicurante e familiare che sia, mentre così possono trovarsi insieme ad altri ragazzi e godere di una grande occasione di incontro, di compagnia, di costruzione, di relazioni».

Ciò che più pesa alle famiglie di questi ragazzi, ci racconta Pegorini, è vedere che al di fuori della scuola, dove sono sufficientemente inclusi e occupati, raramente trovano spazio e sono accolti in occasione di feste, eventi e momenti di aggregazione, perché per le altre famiglie la loro condizione è difficile da gestire. «Questo è comprensibile, ma purtroppo penalizza molto i nostri ragazzi. L’ostacolo di non sapere come comportarsi con un ragazzino o una ragazzina autistica è fisiologico, ma pesantissimo per loro».

È qui che entra in gioco la missione dell’associazione di favorire e diffondere una cultura dell’autismo. «Occorre fare in modo che se ne parli nel quotidiano, non come qualcosa di penoso o di straziante, ma come qualsiasi altra cosa, spiegando di cosa si tratta e sollecitando le persone ad esserne consapevoli. Ad avere comprensione, ad esempio, verso certi atteggiamenti che non sapendo niente dell’autismo si può finire per etichettare invece come maleducazione. Con un briciolo di attenzione e di consapevolezza in più non sarebbe difficile capire che certe “stranezze” derivano da una condizione che può essere compresa e accolta, anziché rifiutata o ignorata».

Le persone autistiche comprendono perfettamente quello che gli succede attorno. La loro difficoltà è semmai comunicare le proprie emozioni e i propri pensieri, oppure di farlo in modo non convenzionale. Azioni o reazioni che spesso sembrano inutili o assurde, se non addirittura pericolose o spaventose, per chi non conosce l’autismo.

«Perciò è fondamentale fare cultura sull’autismo, perché questo permetterà ai nostri figli di vivere in una comunità che potrà accoglierli, anziché ignorarli o respingerli, e questo toglie ansia a loro stessi e alle loro famiglie».

«È fondamentale fare cultura sull’autismo, perché questo permetterà ai nostri figli di vivere in una comunità che potrà accoglierli, anziché ignorarli o respingerli, e questo toglie ansia a loro stessi e alle loro famiglie»

Mamme, papà, nonni, parenti e amici che non solo vivono l’ansia per il presente, in cui devono spendersi per offrire a questi ragazzi quanto più possibile di ciò di cui hanno ora bisogno, ma che trova quotidiani motivi di angoscia nel nodo del “dopo di noi”.

«Quello è per noi un vero e proprio verme solitario – ci spiega Pegorini – un parassita che è dentro di te e che ti distrugge senza che tu te ne accorga e quando te ne accorgi è ormai troppo tardi. È un pensiero enorme, al quale bisogna però fare molta attenzione, perché tante famiglie si abbandonano a questo pensiero, che porta a una grande instabilità e che può sfociare nell’incapacità di reagire e di fare davvero qualcosa».
Certo, non è chiaro ciò che si possa concretamente fare. C’è una legge che parla del “dopo di noi”, ci sono ci sono delle opportunità per fare e per costruire, ma poi bisogna provare a farlo davvero e chi è entrato in questo percorso, per creare degli ambienti per il “dopo di noi”, sa bene quanto sia difficile e quanto poco aiuto dia la burocrazia che c’è intorno a una legge così importante. «In tutto questo non bisogna però dimenticare che i nostri figli sono qui ora e, forse, cercare adesso il meglio per loro, in modo onesto e trasparente, è ancora l’argomento più difficile da affrontare. Troppo spesso scegliamo noi per loro o li teniamo in casa perché riteniamo che questo sia l’ambiente più sicuro, ma questa è più un’esigenza nostra che loro. Ecco perché una parte della cultura dell’autismo va anche sviluppata su noi stessi, su noi famiglie».

«Il “dopo di noi” è per noi un vero e proprio verme solitario, un parassita che è dentro di te e che ti distrugge senza che tu te ne accorga e quando te ne accorgi è ormai troppo tardi… Non bisogna però dimenticare che i nostri figli sono qui ora e, forse, cercare adesso il meglio per loro, in modo onesto e trasparente, è ancora l’argomento più difficile da affrontare»

Un qui e ora che, finito il periodo della scuola, si trasforma in risposte da dare quotidianamente ai ragazzi, quando chiedono cosa possono fare. La loro condizione, ad esempio, non esclude in modo categorico che possano lavorare, ma su questo fronte c’è ancora molto da fare, perché «esistono certamente lavori che un ragazzo o una ragazza autistica sarebbero in grado di svolgere, magari anche tra quelli ripetitivi e routinari che molti non vogliono più fare, ma è raro che un datore di lavoro si faccia carico della responsabilità e delle difficoltà di un possibile inserimento».

Ma oltre a questo, che sarebbe moltissimo ma che purtroppo non è alla portata di tutti, qualcosa che tutti possiamo fare per essere d’aiuto alle famiglie ed essere più vicini ai ragazzi c’è, ci dice Pegorini: «Può sembrare una banalità, però quando un genitore si accorge, per strada o in un negozio, magari perché sta comprando dei vestiti a quel figlio o semplicemente perché è seduto in un bar e fa fatica a contenere il suo ragazzo, incontrare lo sguardo delle persone e vederci un sorriso è importante. Ci fa comprendere che l’altra persona ha capito e che è disposta a prestare attenzione, anziché ad ignorare o a giudicare. Un sorriso ha una forza incredibile e non si ha idea di quanto sia demotivante il contrario».

L’Associazione Accendi il buio conta nel 2025 oltre 170 associati, residenti principalmente nella provincia di Cremona. Tra i suoi compiti anche l’organizzazione di momenti di aggregazione delle famiglie con figli autistici, oltre ad una costante attività di divulgazione e di coinvolgimento del pubblico e delle Istituzioni per far luce sull’autismo e promuovere iniziative e attività.

Uno sforzo che negli anni ha dato ottimi frutti e che, insieme ad altre attività e iniziative sul territorio cremonese, stanno cambiando non soltanto la consapevolezza delle persone rispetto all’autismo e alle altre forme di disabilità, ma soprattutto stanno mettendo in campo ottime opportunità. Attività e progetti che tutti dovremmo conoscere e sostenere, non soltanto con il volontariato o con le donazioni, che pure sono fondamentali, ma ancor più con la disponibilità a conoscere e a non ignorare, perché inclusione non è il contrario di esclusione, ma un concetto molto più profondo.
Includere significa mettere i ragazzi e le ragazze autistiche, o in qualsiasi altro modo diversi o svantaggiati, nella condizione di poter fare le cose e di poter vivere appieno, senza le barriere e senza i limiti imposti da una società costruita a misura di “normodotato”. Barriere e limiti che solo in parte sono concreti e fisici, ma che soprattutto sono culturali.

«Questi ragazzi hanno voglia di sorridere, di giocare, di comprendere, di vedere e sentire con i sensi e anche coi sentimenti, hanno voglia di amare, di gioire, di preoccuparsi e di occuparsi di qualcosa di importante, qualcosa che dia un senso alla loro vita», conclude Pegorini. «Questi ragazzi cercano possibilità: e se fossi proprio tu il ponte per una loro prossima opportunità? Per il loro prossimo sorriso?».