regole
N.54 novembre 2024
Fuga dal campo 14
La vera storia di Shin Dong-hyuk, l’unico uomo nato in un campo di prigionia della Corea del Nord ad essere riuscito a scappare
Ci sono parti del mondo stupende, dove le persone vivono in libertà, dove sono le regole a darla. Dove si può passeggiare per le strade urlando ciò che si pensa, dove si può scrivere sui giornali senza il pericolo di essere arrestati. Dove ci si può trasferire e da dove si può uscire. E poi ci sono Paesi dove tutto questo non è possibile. Uno di questi luoghi è la Corea del Nord. In questo libro, straziante, ipnotico, disturbante e necessario, il giornalista Blaine Harden racconta la vera storia di Shin Dong-Hyuk, fuggito da uno dei più terribili campi di prigionia della Corea del Nord nel quale era nato, perché uno zio negli anni ’50 era fuggito dal Paese e la sua famiglia è stata condannata a vivere nel campo 14 per diverse generazioni. Shin è riuscito a fuggire e a mettersi in salvo. Il racconto della sua vita è qui per noi. Ora non possiamo più fingere che certe cose siano solo relegate nel passato.
Nell’attesa Shin meditava su come gli altri detenuti fossero indifferenti alla recinzione e alle opportunità al di là di essa; erano come mucche, pensava, passivi ruminanti rassegnati a vivere in gabbia. Prima di conoscere Park, lui era esattamente come loro.
«Ora le persone che ho intorno mi fanno desiderare di essere una persona corretta. Ora sento di dover dire la verità. Ora ho amici onesti, e ho iniziato a capire cosa sia l’onestà. E provo un enorme senso di colpa per tutto. Ero più fedele alle guardie che alla mia famiglia; eravamo le spie gli uni degli altri. So che se racconterò la verità la gente mi guarderà con disprezzo. Chi non c’è mai stato non può capire le dinamiche che si sviluppano dentro un campo di prigionia. La violenza non arriva soltanto dai soldati: sono i prigionieri stessi a non conoscere nessun tipo di pietà reciproca. Non c’è alcun senso di comunità. E io sono uno di quei meschini prigionieri»
Abbiamo provato a immaginare cosa Shin Donk-hyuk avrebbe detto pensando alla parola Regole
La prima volta che assistetti ad una esecuzione avevo quattro anni, ero troppo piccolo per capire il discorso pronunciato prima che tre guardie spararono nove colpi secchi contro un uomo dal volto coperto e la bocca piena di sassi, per impedirgli di parlare e pronunciare parole contro il governo.
Il rumore sordo dei colpi mi ha fatto cadere a terra, ero eccitato dal vedere tutta quella gente lì riunita: nel campo ci era proibito radunarci in più di due persone, ad eccezione delle esecuzioni a cui tutti eravamo obbligati ad assistere. Le uccisioni pubbliche, e la paura da esse generata, erano considerate momenti educativi. Le guardie, insegnanti e allevatori, avevano prima selezionato chi sarebbero stati mia madre e mio padre e poi mi avevano insegnato che chi infrange le regole merita la morte.
La parola regola, 규칙 (gyuchig) in coreano, è stata tra quelle che più ho sentito durante i miei primi 23 anni di vita, prima che riuscissi a oltrepassare la rete con filo spinato elettrificato e raggiungessi la mia libertà.
Quando agisci solo in relazione a un precetto, e ogni cosa, persino la moglie e il marito, ti è imposta dall’alto, le regole diventano una gabbia dalla quale non puoi uscire. Se in questo inferno ci sei nato e cresciuto, finisci per accettarne i valori. L’inferno diventa casa tua. Quando ero bambino, la norma mi imponeva di andare a scuola. L’insegnante, un militare armato che non si faceva problemi a usare la forza contro di noi piccoli e fragili, ci ha obbligato a memorizzare le dieci regole del campo che dovevamo recitare quando, e solo quando, ci veniva richiesto:
- Non provare a scappare
- È vietato formare gruppi di più di due prigionieri
- Non rubare
- Agli ordini delle guardie bisogna obbedire incondizionatamente
- Chiunque avvisti un fuggitivo o una figura sospetta tenuto a denunciarlo immediatamente
- I prigionieri devono tenersi sotto controllo a vicenda e denunciare immediatamente qualsiasi comportamento sospetto
- Ogni prigioniero deve portare a termine il lavoro che gli è stato assegnato quotidianamente
- Fuori dal luogo di lavoro non è permessa l’interazione tra persone di diverso sesso per motivi personali
- I prigionieri devono pentirsi sinceramente dei propri errori
- I prigionieri che violano le regole e i regolamenti del campo verranno fucilati all’istante.
Una volta riuscito a scappare, passai due giorni nei sobborghi di Bukchang mangiando tutto quello che riuscivo a trovare e vestendo una vecchia e logora divisa militare trovata in un capanno. Osservare come interagivano tra loro gli esseri umani mi sconvolse e trasformò totalmente la mia comprensione di come funziona davvero il mondo: fu uno shock vedere i nord coreani occuparsi delle proprie faccende quotidiane senza dover prendere ordini dalle guardie. Li vedevo ridere insieme in pubblico, indossare abiti di colori sgargianti, trattare al mercato e mi aspettavo che da un momento all’altro sarebbero intervenuti uomini armati a dar loro una bella levata di capo e mettere fine a quella pazzia. E invece tutto era normale. Le regole che avevo imparato e ripetuto come un mantra non esistevano lì. Presto vidi per la prima volta dei soldi e ne appresi il valore. Capii subito che servivano per acquistare cibo e abiti, ma anche per corrompere i militari: bastavano poche banconote perché la regola venisse dimenticata. I soldi servivano anche per farmi uscire da Paese e raggiungere la Cina: dietro giusto compenso avrebbero potuto far uscire chiunque, anche se la fuga che potevo permettermi poteva durare anni ed era estremamente pericolosa.
Ad ogni modo sono arrivato in Cina e poi in Corea del Sud e poi, da lì, ho trovato chi ha sponsorizzato il mio primo viaggio verso gli Stati Uniti, in California da dove poi ho deciso di ritrasferirmi in Corea Del Sud. Per me non è stato affatto semplice adattarmi alla vita fuori dal campo. Quello che avevo passato e il luogo in cui sono nato restavano dentro di me, come un punto nero che non mi permetteva di provare emozioni e mi faceva sentire, ancora una volta, prigioniero.
Ho ancora tanta strada, ma piano piano sto diventando più umano: provo emozioni, rido e piango. Le regole che ogni società civile ha e impone ai suoi cittadini hanno un sapore diverso rispetto a quelle imparate a memoria nel campo. Hanno il sapore della libertà.
– in collaborazione con @poitelopresto

SCHEDA
Shin Dong-hyuk è l’unico uomo nato in un campo di prigionia della Corea del Nord a essere riuscito a scappare. La sua fuga e il libro che la racconta sono diventati un caso internazionale, che ha convinto le Nazioni Unite a costituire una commissione d’indagine sui campi di prigionia nordcoreani. Il Campo 14 è grande quanto Los Angeles, ed è visibile su Google Maps: eppure resta invisibile agli occhi del mondo. Il crimine che Shin ha commesso è avere uno zio che negli anni Cinquanta fuggì in Corea del Sud; nasce quindi nel 1982 dietro al filo spinato del campo, dove la sua famiglia è stata rinchiusa da decenni. Non sa che esiste il mondo esterno, ed è a tutti gli effetti uno schiavo. Solo a ventritré anni riuscirà a fuggire, grazie all’aiuto di un compagno che tenterà la fuga con lui, e ad arrivare a piedi e con vestiti di fortuna in Cina, e da lì in America. Questa è la sua storia… (codiceedizioni.it)
Autore: Blaine Harden
Editore: Codice edizioni
Traduzione: Ilaria Oddenino
Anno: 2014