studio

N.60 maggio 2025

intro

Guardiamo ovunque. Basta non sia il solito specchio

Visitatori della Cremona ArtWeek osservano l'opera The Veils (2001) di Michaël Borremans nel Battistero di Cremona (foto Paolo Mazzini)

Qualcuno ha provato (non che abbiano smesso!) a farci credere che non solo “studiare non serve”, ma che addirittura i traguardi ottenuti faticando sui libri, i titoli di studio, gli esami superati fossero una sorta di fedina penale dell’onestà: “Più studi, più mi freghi”. Che oggi, con l’informazione “libera” della Rete la scuola e tutto il resto servano solo a perdere tempo. Basta un clic per sapere quello che serve.

Ed eccoci qui. Il voto di laurea alla “università della vita” coincide all’incirca con tutto ciò di cui ci lamentiamo ai pranzi di famiglia. La scuola arranca, il progresso ci spaventa, la società sanguina.

E no, non è questione di saper tradurre da greco o risolvere un integrale; non è il fatto che a governarci sia un tecnico, un partito o un’ombra. «Non c’entra niente con il ricordare; molto più con il desiderare», citando le sempre penetranti Parole raccolte di Diletta Pasetti.

Lo studio è ciò che ci spinge un passo più in là, insegna il limite della prudenza e sposta in avanti i limiti del coraggio; uno scienziato visionario, un progetto scritto in rima, errore e correzione, un robot gentile, la connessione con mondo lontani e la responsabilità di conoscere la zolla su cui appoggiamo il piede. Conoscere ciò che è stato per immaginare ciò che ancora non c’è.

Sui libri o con le mani nel fango, calcolando e camminando, allora, studiamola sul serio questa vita. Con la curiosità dei bambini della favela brasiliana o attraverso l’obbiettivo di Salgado; con la tenacia di uno scienziato, il sorriso di uno scrittore, la fatica che fa un esploratore: guardiamo in ogni direzione, nel sorriso di un ritratto e nei dati binari che raccontano il futuro.

Basta non sia, ancora, il solito specchio.