mattoni
N.55
Le lastre del Genesi e il tralcio abitato: indagine (aperta) sulle pietre/mattoni della Cattedrale
Un'innovativa operazione di restauro ha svelato inediti dettagli di tre lastre medievali posizionate sulla facciata del Duomo di Cremona. Nel volume "Wiligelmo cacciato dall'Eden" il professor Milanesi si interroga sulla vera origine di questi misteriosi capolavori medievali
Ci sono mattoni che resistono ai secoli, sfide al tempo che passa. Portano con sé una storia importante ma non sono sempre semplici da decodificare. Il bassorilievo marmoreo medievale collocato presso il sottoportico della Bertazzola, sul muro esterno della Cattedrale di Cremona, è capace, dopo secoli, di interrogarci e suscitare dibattiti.
Ci è voluto un restauro di due lastre poste in collocazione di “riuso” (Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre e Genesi del Peccato originale, secondo la critica attribuite a Wiligelmo, maestro del romanico dell’Italia settentrionale) per creare un dibattito importante. E soprattutto «offrire spunti di riflessione e scoperte inattese», come spiega don Gianluca Gaiardi, direttore del Museo diocesano di Cremona.
Il punto è che non si tratta di un materiale di riuso come tanti altri. Quelle lastre (che in realtà sono tre, perché c’è anche un Tralcio abitato usato in orizzontale come architrave anche se era stato pensato per essere posto in verticale) hanno a che fare con il Duomo di Modena, esempio chiave del romanico, e con la datazione della Cattedrale di Cremona. La mano della bottega di Wiligelmo, infatti, è l’autrice anche della Pietra di fondazione, pietra che indica il 26 agosto 1107 come il momento dell’inizio dei lavori di questa chiesa madre. Le due lastre, fino ad oggi, si riteneva fossero state realizzate tra il 1107 e il 1117 (anno del terremoto che distrusse in maniera importante il duomo) e poi ricollocate nel 1129, anno della ricostruzione. Ma ora gli interrogativi sono tanti.
«Due lastre – chiarisce Giorgio Milanesi, professore di storia dell’arte medievale presso l’Università di Parma – che per un secolo e mezzo sono sembrate realizzate con la stessa tecnica, dopo essere state ripulite hanno evidenziato una modalità di lavorazione diversa. L’elemento, fatto emergere dal restauratore, è diventato determinante per la loro attribuzione».
Wiligelmo non è più dunque da considerarsi il loro scultore? Si tratta di una mano diversa ma della stessa bottega? Oppure invece una delle due lastre appartiene ad un’epoca successiva? Il dibattito è aperto, gli studi si stanno sviluppando a partire da una nuova visione del bassorilievo completamente “messo a nuovo” attraverso una tecnica di pulitura con il laser (opera di Davide Cesari) «mai utilizzata in precedenza», chiarisce don Gaiardi. Ed in effetti il risultato è davvero sorprendente, le lastre risultano tornate al colore originario ed è possibile vedere particolari nascosti da secoli a causa delle incrostazioni.
Wiligelmo è stato dunque scherzosamente “cacciato dall’Eden”? Forse sì, sostiene Milanesi, autore del volume intitolato proprio Wiligelmo cacciato dall’Eden, prima uscita della collana a cura dei Musei della Diocesi di Cremona, pubblicato dalle edizioni Trc e realizzato grazie alla collaborazione dell’Università di Parma e all’impegno per la cultura del Club Inner Wheel di Cremona che per i suoi 30 anni ha deciso di finanziare il restauro e quindi permettere il successivo studio e valorizzazione di un patrimonio importante.
In primis l’incongruenza della successione dei soggetti – Cacciata prima, Peccato originale poi – avrebbe da tempo dovuto destare qualche sospetto. E poi ci sono una serie di anomalie: la testa, gli occhi e i capelli di Eva della prima lastra non paiono simili a quelli della seconda, la disposizione dei piedi di Adamo ed Eva e la loro collocazione su una cornice mostrano evidenti differenze. Per non parlare delle foglie di fico, diverse da una all’altra lastra, così come gli arti dei protagonisti.
Tante insomma le cose che non quadrano, tanto che Milanesi parla di «abisso stilistico che separa le due lastre», una wiligelmica, l’altra forse no; «il sospetto è che il Peccato originale sia un pezzo più recente». E qui si apre un ventaglio di ipotesi tra cui la possibilità che possano essere state montate anche dopo la ricostruzione del duomo del 1129 o, chissà, magari «in occasione della riconfigurazione rinascimentale della facciata». Un fatto è certo. Le indagini su queste pietre medievali, sono oggi solo all’inizio.