mattoni

N.55

rubrica

L’insostenibile pesantezza dei classici

Perché la musica colta è piena di “mattoni musicali” che la rendono attraente per il cultore specialistico e indigesta per un normale amante della musica?

Il ritornello è sempre quello: la musica classica è difficile, i concerti con strumenti tradizionali sono pieni di lungaggini, bisogna conoscere prima il significato dei brani, ci sono opere liriche che sembrano interminabili… Ed ancora: non si è più capaci di vedere la qualità, prevale il consumo veloce, si è persa l’esperienza estetica, si annega nella banalità… Mai che ci si chieda il perché. Già, perché la musica colta è piena di “mattoni musicali” che la rendono attraente per il cultore specialistico e indigesta per un musicofilo normale?

Naturalmente, occorre fare una premessa prima di dire quel che potrebbe essere addirittura banale, ossia è necessario affermare, senza mezzi termini, che tutto ciò che è cultura è da promuovere e da coltivare nell’educazione nostra e dei nostri ragazzi. Ogni periodo della storia della musica può avere una connessione con il presente e l’arricchimento che si fa studiando pazientemente le opere più o meno antiche non può che aggiungere profondità e capacità di giudizio a ciascuno di noi.

Eppure, la distanza fra la musica classica e noi c’è, è palpabile e a volte ardua da colmare. Si provi ad ascoltare la Tetralogia di Wagner con i suoi miti così fuori tempo, la durata totale di quindici ore, i trentaquattro personaggi che si avvicendano, i simboli così complessi e la sensibilità armonica che porta al disorientamento uditivo.

Naturalmente questo è oro per lo storico della cultura, ma pesantezza insopportabile per chi alla fine della giornata non ha voglia di discorsoni musicali infarciti di retorica a dir poco dannunziana.

Prendiamo uno degli ultimi quartetti di Beethoven: se si esclude il conoscitore ben addentro alle opere del grande tedesco, l’ascolto dei dialoghi serrati fra gli archi, i continui richiami di motivi, i temi che appaiono e scompaiono, i ritmi sminuzzati, le agogiche nervose, gli incastri inquieti, i rivolgimenti, inseguimenti, scontri e così via, fanno pensare a un soliloquio esacerbato e nevrotico, un vero “mattone musicale” per il cervello e per l’orecchio di chi ascolta.

Anche qui, un ascoltatore di oggi, non interessato al significato profondo (che è la rappresentazione di un intimo e complesso movimento dell’anima) e che magari vive relazioni piene di problemi, preferisce cercare qualcosa di semplice che addolcisce la sua di anima anziché ascoltarne una tormentata.

Buttiamo l’occhio sulla lirica: come mai si rappresentano sempre quelle opere, una dozzina, sempre di quei pochi (grandi) autori? Perché ci si affida sempre al più che famoso repertorio di arie e successi? Forse perché i tanti altri melodrammi racconterebbero storie insopportabilmente noiose, scontate, sempliciotte, lentissime nello svolgimento, con tempistiche adatte ai tempi di una volta e non certo capaci di parlare a un mondo che adora gli intrecci smaliziati, le finezze psicologiche, le fruizioni rapide.

Il pubblico, forse senza volerlo, ha selezionato le opere liriche che piacciono ancora e ha lasciato perdere quelle che, alla fine, sono perle per gli storici ma “macigni” per gli altri.

Se poi passiamo alla musica contemporanea, di mattoni musicali ne troviamo a bizzeffe, complice anche l’impenetrabilità voluta di molta della sua produzione. Possiamo pescare anche un po’ a caso: Gruppen di Karlheinz Stockhausen, per esempio, consiste di 24 minuti di sussurri, fruscii, esplosioni, fusioni, suoni contorti, trapassi indecifrabili, atmosfere angosciate senza uno straccio di melodia o di accordo consonante tranquillizzante. Il grande messaggiò ci sarà, c’è sicuramente! Ma sta talmente nascosto che alla fine non si sa bene come tirarlo fuori in quella sera in cui l’ascoltatore ha bisogno di non pensare al dolore del mondo che già si conosce.

I critici naturalmente non sono d’accordo, ma anche noi possiamo essere sicuri che quelle elencate sono opere assolutamente valide.

Il fatto è che quei capolavori parlano una lingua che non è quella attuale, hanno tempi che non sono quelli in cui siamo immersi, modalità che dicono del passato ma non della vita che ci aspetta là fuori, hanno una posa altisonante che non ha spazio nell’oggi e si impongono per la grandiosità e la complessità, ma non per la disponibilità. A dire il vero, il discorso si può allargare a molto repertorio delle stagioni concertistiche e sinfoniche.

Classica? Leggera? Pesante? Moderna? Naturalmente c’è spazio per l’una e per l’altra, per il facile e il difficile, il dimesso e l’intricato, la storia e il presente.

La cosa migliore sarebbe avere strumenti culturali per affrontare tanto il complicato del passato che il semplice attuale (che non vuol dire banale, ci sono canzonette pop che in riflessione battono Mozart 10 a 0).

La realtà è che anche nella musica di consumo che si fa oggi c’è il bello estetico e un contenuto che ci identifica; per quale motivo poi uno dovrebbe andare a cercare altro…?