notte
N.58 aprile 2025
«Osservare, non guardare»: Fabrizio indica la direzione per le stelle. E ci porta un asteroide…
Come ci è arrivato un asteroide nello studio di Riflessi incontra? Ce lo spiega FABRIZIO PELLEGRINI, volontario dell'associazione Astrofili Soresinesi, accompagnandoci alla scoperta delle meraviglie del cielo che di notte osserva (e aiuta ad osservare) dall'occhio profondo della specola.
«Questo è un oggetto extraterrestre». Fabrizio Pellegrini, volontario del Gruppo Astrofili Soresinesi, tiene tra le dita un frammento di meteorite. I polpastrelli carezzano la superficie liscia e brunita della pietra, ritrovata nel deserto del Sahara. «Si chiama 2581 – spiega – è una meteorite orientata, la cui forma richiama le capsule spaziali. I segni che vedi in superficie si chiamano regmagliti, lasciate dalla velocità e dalla pressione sperimentate durante la caduta. In un certo senso, sono le impronte digitali dello spazio».
Gli occhi brillano, come quando li rivolge al cielo durante le notti trascorse all’Osservatorio astronomico pubblico di Soresina, dove presta servizio con altri volontari. Realizzato nel 1974 – tra i primi in Italia – da oltre cinquant’anni misura la distanza tra terra e cielo, offrendo uno sguardo privilegiato a chi raggiunge la sommità della torre. «La specola è come un tempio del cielo – afferma Fabrizio – un luogo dove si contemplano le meraviglie dell’universo. L’osservatorio è a tutt’oggi aperto al pubblico e permette ai visitatori di poter osservare il cielo con i propri occhi».».
La Luna è spesso protagonista, ma non solo: nelle notti di cielo terso si possono scorgere gli anelli di saturno, le lune di giove, senza dimenticare le meteore. «Le chiamiamo stelle cadenti – spiega Fabrizio – in realtà sono frammenti di roccia che si incendiano a contatto con l’atmosfera, quando la Terra incrocia l’orbita di una cometa o un asteroide».
Fabrizio ricorda il suo primo incontro: la cometa di Halley, avvistata nel 1986 dal cortile di casa con il suo primo telescopio. Occhi al cielo e mappe di carta alla mano, «perché internet ancora non esisteva – ricorda il volontario con un sorriso – chissà se avrò l’occasione di salutarla di nuovo nel 2061, quando tornerà dalle nostre parti».
Come ricorda il volontario, «il cielo ha sempre qualcosa da insegnarci: come diceva Leonardo da Vinci, il piacere più nobile è la gioia della comprensione. Più ci spingiamo lontano, più capiamo quanto è preziosa la nostra casa: un’oasi di vita in mezzo allo spazio buio. E forse, dovremmo iniziare a trattarla un po’ meglio».
Lo spazio è diventato un luogo di osservazione terrestre privilegiato: «Con il programma Copernicus e i satelliti Sentinel, monitoriamo il clima, gli oceani, l’atmosfera, per cogliere cambiamenti difficili da rilevare nella loro totalità». Lo stesso vale per l’inquinamento luminoso, condiziona la percezione di ciò che ci circonda offuscando stelle e pianeti, sia per flora e fauna, poiché altera i ritmi circadiani.
Lo stesso vale per fenomeni più vicini, come l’inquinamento luminoso, che condiziona in modo crescente la percezione di ciò che ci circonda, offuscando stelle e pianeti. «Per questo gli astrofili si mettono in viaggio, a caccia di cieli puliti da osservare con il favore dell’oscurità», prosegue il volontario. Il messaggio è rivolto soprattutto alle nuove generazioni: «Uscire dagli schermi e dagli schemi è un atto rivoluzionario. Il cielo si osserva con gli occhi: si dice osservare, non guardare, perché richiede pazienza e attenzione. Capacità di immaginare e al contempo di ridimensionare. In astronomia tutto ha scale immense: temperature, velocità, distanze. Sono numeri che sembrano astratti, ma basta rapportarli alla nostra esperienza per renderli comprensibili, vicini. Quando impariamo a confrontarci con l’infinito, ridimensioniamo anche i problemi quotidiani».
Come ricorda Fabrizio, «il cielo stellato è una meraviglia da proteggere: per gli antichi era una bussola, uno strumento per scandire le stagioni, per prevedere inondazioni o coltivare. Oggi abbiamo perso questo legame profondo: passiamo più tempo a guardare lo schermo di uno smartphone che a guardare il cielo. Dobbiamo spegnere il Wi–Fi e accendere il nostro web naturale, è lì che ci riconnettiamo davvero».