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N.60 maggio 2025
Professione “data scientist”, i pionieri del nuovo oro nero
Nel marzo 2026 sarà avviato presso la sede di Cremona dell'Università Cattolica un nuovo master in Intelligenza Artificiale e Data Science per le imprese. Il professor Venturini ci parla dello sviluppo della formazione e della professione di chi legge e interpreta i dati, tra previsioni scientifiche del futuro e la difficile ricerca di un equilibrio tra protezione dei dati e la libertà digitale

Viviamo immersi nell’oro nero. È il mare d’informazioni che ogni giorno facciamo circolare in modo più o meno consapevole attraverso app e dispositivi. Ogni azione digitale — un clic, una canzone ascoltata, un reel condiviso… — lascia una traccia in grado di raccontare chi siamo, cosa facciamo, cosa ci interessa. Un flusso di dati costante e ininterrotto che, se organizzato e interpretato nel modo giusto, può diventare una chiave potente per comprendere il presente e orientare le scelte future. Di questo si occupa il data scientist, figura professionale nata poco più di vent’anni fa, oggi tra le più richieste in ambito aziendale e strategico.
«I dati sono il petrolio dell’era digitale», afferma Sergio Venturini, professore associato di Statistica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dopo la laurea in Economia delle Istituzioni e dei Mercati Finanziari alla Bocconi, ha conseguito un master in Econometria Applicata a Pavia e un dottorato in Statistica sempre alla Bocconi, con esperienze professionali maturate alla SDA Bocconi e all’Università di Torino. Dal 2021 insegna in Cattolica, dove a Piacenza e Cremona tiene corsi di Statistica, Data Science e un laboratorio dedicato a Python, linguaggio di programmazione ormai essenziale per chi lavora con i dati.
«La data analysis si occupa di interpretare dati passati e presenti, per descrivere e comprendere un fenomeno. La data science amplia questo approccio, integrando strumenti predittivi e modelli avanzati per anticipare scenari futuri e supportare le decisioni»
«Prima di tutto occorre fare una distinzione», puntualizza. «La data analysis si occupa di interpretare dati passati e presenti, per descrivere e comprendere un fenomeno. La data science amplia questo approccio, integrando strumenti predittivi e modelli avanzati per anticipare scenari futuri e supportare le decisioni. È un campo interdisciplinare che unisce statistica, informatica e conoscenze settoriali». L’attività di analisi segue alcuni passaggi fondamentali: dopo la selezione e pulizia dei dati, viene estratta una sintesi delle informazioni utili, aggregate in base ai temi di riferimento. Da qui si costruisce un modello statistico che aiuta a capire le relazioni tra le variabili prese in considerazione. Questo consente di fare previsioni e stime per anticipare scenari futuri, fornendo così informazioni preziose per le decisioni aziendali e non solo.

«Niente sfera di cristallo – scherza Venturini – ciò che occorre è una buona capacità di studio, osservazione e proiezione. Una parte importante del lavoro consiste infatti nel valutare il margine di incertezza e di errore, per prendere decisioni informate e ridurre al minimo il rischio». Esistono tecniche diverse per scegliere il modello più efficace, ma il miglior sistema per verificare la validità di una scelta è il tempo, che in base ai risultati ottenuti può confermare o smentire la bontà delle previsioni fatte in partenza. Come sottolinea Venturini, «l’analisi dei dati è un potente alleato, ma dev’essere sempre affiancata da riflessioni critiche e competenze multidisciplinari, che con l’esperienza e la conoscenza del contesto di riferimento possono fare la differenza».
Come abbiamo detto, i dati utilizzati derivano dal tracciamento di tutto ciò che facciamo sul web, con lo smartphone o sui dispositivi di pagamento. Quando scarichiamo un’applicazione o accediamo ad un servizio gratuito, dimentichiamo l’assioma fondamentale del marketing: se non paghi per avere un prodotto, significa che il prodotto sei tu. Acquisti ricorrenti, abitudini alimentari e personali, ricerche frequenti, reel condivisi, tutto può essere utilizzato per scopi commerciali e di profilazione. «Oggi il nostro interesse primario è comunicare e divertirci, ma spesso queste esigenze passano in secondo piano rispetto alla sicurezza», afferma il docente. Siamo di fronte a nuovo paradigma sociale, che sovverte la famigerata piramide dei bisogni teorizzata dallo psicologo Abraham Maaslow: l’esigenza di condividere e restare connessi viene prima di tutto. Invertire la rotta è improbabile, per questo è fondamentale trovare un equilibrio che metta al centro la protezione dei dati senza limitare la libertà digitale.
«Quando scarichiamo un’applicazione o accediamo ad un servizio gratuito, dimentichiamo l’assioma fondamentale del marketing: se non paghi per avere un prodotto, significa che il prodotto sei tu»
«Spesso scarichiamo app e accettiamo le condizioni senza riflettere su cosa succede dietro le quinte», commenta Venturini. «Bastano piccoli accorgimenti per migliorare la sicurezza, come modificare le impostazioni di privacy o disattivare autorizzazioni non necessarie. Troppi utenti firmano condizioni e autorizzazioni senza leggerle davvero: semplificare questo tipo di comunicazioni, con messaggi chiari e immediati, potrebbe aiutare a capire meglio cosa si sta accettando». La questione riguarda nello specifico le aziende e i fornitori di dati, cui viene richiesta etica e trasparenza. «Ciò non significa solo far rispettare le leggi esistenti – prosegue il docente – ma soprattutto riconoscere il fatto che con i dati si entra nella vita quotidiana delle persone. Pur essendo difficile definire con precisione come operare, in Unione Europea e in molti altri Paesi esistono già normative ufficiali e codici etici che ogni azienda dovrebbe adottare per orientarsi responsabilmente nel trattamento dei dati personali».
Se operata correttamente, i vantaggi della data science sono notevoli e sotto gli occhi di tutti: tra i casi celebri c’è Netflix, nota piattaforma di streaming video on demand, divenuta in vent’anni un colosso della distribuzione di contenuti su scala globale. «Pochi sanno che fino al 2008 era un semplice servizio di noleggio dvd», racconta Venturini. «Oggi è una delle aziende simbolo della trasformazione digitale. Usando algoritmi di raccomandazione, ha personalizzato la proposta di contenuti, anticipando gusti e scelte dell’utente. Una strategia basata sui dati, che ha affossato il mercato da cui proveniva e ha rivoluzionato il modo in cui guardiamo film e serie tv.
«La capacità di lavorare con i dati, di saperli comprendere, elaborare, estrarre valore, visualizzarli e comunicarli, sarà una competenza estremamente importante nei prossimi decenni, a livello professionale e educativo»
«Qualche anno fa, Hal Varian – capo-economista di Google – ha definito la statistica ‘il lavoro più sexy dei prossimi decenni”», aggiunge Venturini. «La capacità di lavorare con i dati, di saperli comprendere, elaborare, estrarre valore, visualizzarli e comunicarli, sarà una competenza estremamente importante nei prossimi decenni, a livello professionale e educativo». Con la diffusione dell’intelligenza artificiale e degli strumenti digitali, cresce anche il numero di giovani interessati ad intraprendere una carriera in questo ambito, trasversale a moltissimi settori: dalla sanità all’economia, dall’ingegneria fino all’ambito umanistico.
«Nel marzo 2026 sarà avviato presso la sede di Cremona dell’ateneo un nuovo master in Intelligenza Artificiale e Data Science per le imprese, che punta proprio in questa direzione», aggiunge il docente. «Certo, intraprendere una carriera nella data science richiede impegno e implica una forte motivazione e la disponibilità a mettersi in gioco, ma le prospettive di carriera sono ottime e in continua espansione».
La scommessa è tutta sulle nuove generazioni: «Viviamo in un mondo che cambia alla velocità della luce – conclude Venturini – la formazione non è più un punto d’arrivo ma un processo obbligatorio e continuo, in cui occorre mantenere viva la curiosità e la capacità di adattarsi. Solo così potremo sfruttare le potenzialità di questi strumenti senza esserne travolti, diventando protagonisti del cambiamento».