notte
N.58 aprile 2025
Seduto in cerchio con le vite degli ultimi: la vocazione di Duilio, volontario di unità di strada
Duilio è un volontario della Comunità Papa Giovanni XXIII: di notte escono sulle strade di Milano per incontrare i senzatetto: «Lasciarli e rientrare a casa non è semplice, convivi con il senso di colpa: a fine serata tu torni nel tuo letto caldo, lontano da quel marciapiede, dove la persona che hai salutato passerà il resto della notte»

Lo sguardo dei passanti sa essere più duro dell’asfalto. Fende come una lama, freddo d’indifferenza. Lo sa bene chi vive la strada e osserva ogni giorno la folla di scarpe che macina il marciapiede. Alcuni aumentano il passo, altri si tappano il naso, disegnano parabole fantasiose o cambiano lato della carreggiata, pur di evitare l’ingombro della persona seduta a terra. Nel migliore dei casi, gli occhi sono bassi, sfuggenti. Oppure giudicanti, impietosi, impermeabili ai perché.
C’è poi chi, come i volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII, sceglie di sedersi a fianco della persona, aprendo ad un’esperienza che trova nell’incontro il proprio luogo di relazione. Accade a Milano, dove ogni mercoledì l’Unità di Strada si ritrova in determinate zone della città. «Salutiamo, ci sediamo in cerchio con loro, tutti allo stesso livello», spiega Duilio, volontario e referente del servizio. Il tempo condiviso assume valore, memoria, costruisce un legame sottile da coltivare sera dopo sera. «Lasciarli e rientrare a casa non è semplice, convivi con il senso di colpa: a fine serata tu torni nel tuo letto caldo, lontano da quel marciapiede, dove la persona che hai salutato passerà il resto della notte».
C’è chi si trova lì perché ha fatto scelte sbagliate, chi per sfortuna, chi per volontà
C’è chi si trova lì perché ha fatto scelte sbagliate, chi per sfortuna, chi per volontà. Sono principalmente uomini, spesso anziani, quasi sempre senza famiglia né amicizie, se non quelle di convenienza nate in quel contesto di sopravvivenza. Intercettarli e indurre un cambiamento non è semplice. La sperimentazione avviata a Crema nel 2023 ne è un esempio: su richiesta dal Comune, l’Unità di Strada della Papa Giovanni XXIII ha effettuato servizio durante la stagione invernale per rispondere a situazioni di disagio e fragilità riscontrate in città. «Nei piccoli centri le persone in condizioni di precarietà sono difficili da intercettare», spiega il volontario. «Buona parte di loro è già nota ai servizi sociali e in contatto con altre realtà e associazioni presenti sul territorio. Quando scende la sera si rifugiano in case abbandonate o altri alloggi di fortuna, difficili da raggiungere».
Una situazione ben diversa dalla metropoli milanese, dove la notte si popola di giacigli a cielo aperto. «La cosa più difficile è accettare sia la condizione dell’altro, sia la sua libertà di autodeterminarsi», prosegue Duilio. «Tanti decidono infatti di rimanere in condizioni di precarietà: per capire abbiamo provato a vivere con persone senza fissa dimora. La strada ti risucchia, capisci subito quanto è difficile uscire da quel mondo. L’assistenzialismo non basta a invertire la rotta: per strada fai ciò che vuoi, non hai vincoli né affitti, ricevi cibo e aiuti, facendo l’elemosina riesci anche a guadagnare bene. Nonostante lo sguardo sprezzante dei passanti, tutto ciò non aiuta a fare scelte diverse».

Per indurre un cambiamento, l’associazione lavora su due fronti: «Da un lato vogliamo instaurare relazioni vere e significative con le persone incontrate, per poi riuscire eventualmente ad aiutarle. Al contempo, vogliamo sensibilizzare i giovani sul tema della povertà e sull’importanza della condivisione».
I volontari sono in buona parte studenti universitari, provenienti da oratori o da gruppi scout, guidati da un responsabile. L’interesse non manca, ma spesso garantire continuità è difficile: bombardate da stimoli e punzecchiate dall’ansia di perdere esperienze significative, le nuove generazioni faticano a scegliere questo impegno a scapito di altri interessi. Avere costanza non è semplice, nemmeno per i veterani: «C’è il rischio di abituarsi a vedere certe cose», commenta Duilio. «Bisogna continuare a sorprendersi, per ricordare che quella condizione in apparenza ordinaria non è normale e non va normalizzata».
«C’è il rischio di abituarsi a vedere certe cose. Bisogna continuare a sorprendersi, per ricordare che quella condizione non è normale e non va normalizzata»
Il giovane ricorda la sua prima esperienza di volontariato, quando ancora adolescente affiancò con due amici il sacerdote della sua parrocchia in una visita su strada.
«Abbiamo incontrato un uomo che ci ha raccontato la sua storia. Faceva il cuoco a villa d’Este, sul lago di Como, dove si svolgono eventi di altissimo livello. Un giorno un incidente gli ha portato via moglie e figli, la sua vita è cambiata d’un colpo. Ha lasciato il lavoro, ha perso ogni legame e ha iniziato a girare per l’Italia in bicicletta, senza meta né scopo. Lo raccontava piangendo, io non riuscivo a parlare. Da un lato mi sentivo in debito verso una vita che a me aveva dato tanto, dall’altro la fede mi chiamava a fare questo».
Durante gli studi universitari in Ingegneria – poi abbandonata a favore di una laurea Scienze della Formazione – Duilio ha deciso di vivere per sei anni in casa di accoglienza a Milano, condividendo spazi e tempo quotidiano con le persone assistite. «Per me sono state una famiglia», racconta. «Le persone che incontri svelano i tuoi limiti e al contempo tirano fuori il meglio di te. I legami costruiti durano ancora oggi: molte di loro hanno partecipato anche al mio matrimonio». Oltre all’Unità di Strada e a servizio dell’Associazione, oggi Duilio gestisce una casa di accoglienza con l’aiuto della sua famiglia. «Per me è una vocazione profonda – spiega – condivisa con le persone che fanno parte della mia vita. Vorrei trasmettere questo ai miei figli: qualunque scelta faranno, dovranno pensare anche a chi ha bisogno. La vita può sorprenderti: quando qualcuno ti dà una mano a rialzarti, può succedere qualunque cosa».