strappi
N.62 settembre 2025
Amore in adolescenza, non sono tutte “storielle”
Con la psicologa Marianna Bufano entriamo nel turbinio di sentimenti che scuote la vita degli adolescenti quando si innamorano e quando fanno esperienza della "rottura": «Da adulti, non minimizziamo: ricordiamo i nostri dolori e condividiamoli»

È solo una storia da ragazzi. No, forse no.
Facile banalizzare, quando si è ormai dimenticato il batticuore e il dolore del primo amore. E del primo addio. Del distacco, voluto o subìto. Forse inaspettato, forse scelto. Comunque sofferto.
Può essere il primo amore. O il secondo. Nato tra i banchi di scuola, nella compagnia di amici, a una festa, in oratorio, in un locale. Giovane, spontaneo. Acerbo ma totalizzante. C’è tutta l’energia dell’attrazione e dell’infatuazione, forse anche del desiderio di un “per sempre”. Finché le strade si dividono, le esigenze e i percorsi cambiano.
Tristezza, rabbia, delusione. Magari, per la controparte, una nuova relazione all’orizzonte, altri sguardi che si incrociano, altre vite da esplorare.
Rimane una ferita, uno strappo emotivo. Che, inevitabilmente, diventerà parte di un bagaglio esistenziale, fatto di abbandoni e nuovi incontri, di mancanze e ripartenze. Attraversare il turbinio di quei sentimenti è la strada per conoscere se stessi. Per entrare in contatto profondo con il proprio io e con l’altro.
Ma cosa significa, per un adolescente di oggi, vivere quella rottura?
Ne parliamo con Mariana Bufano, psicologa e psicoterapeuta presso il Consultorio Ucipem di Cremona.
Partiamo dalla genesi delle relazioni affettive: come vivono l’amore gli adolescenti? Cosa cercano nell’altro?
«Nelle nuove generazioni, come evidenzia lo psicoterapeuta Matteo Lancini, la tecnologia è elemento preponderante. Nelle prime relazioni di coppia contano i selfie, la condivisione delle immagini e il contatto mediato dalla tecnologia. Il rapporto si sviluppa attraverso messaggi, chiamate, chat online. La prima conoscenza, talvolta, avviene direttamente attraverso i canali social, al punto che si instaurano o si mantengono storie con partner che abitano lontano geograficamente.
Viviamo nella società del post narcisismo, dove la rete ha una valenza forte nell’ambito affettivo perché è veicolo di contatto, vicinanza e condivisione con l’altro, anche dal punto di vista dell’immagine esteriore e della corporeità.
È un dato di fatto: il mondo adulto ha iperconnesso qualunque cosa e poi frequentemente accusa gli adolescenti proprio di vivere connessi, con tutte le sue implicazioni».

La coppia di fidanzati: com’è ora? Quanto entrano in gioco, da un lato, l’intensità e la profondità di un legame che potrebbe sembrare assolutizzante e la condizione legata alla giovane età?
«Le relazioni in età adolescenziale sono sperimentazioni, ma questo non significa che abbiano meno importanza o valore, come spesso tendono a credere gli adulti, minimizzando il rapporto tra i cosiddetti “fidanzatini”. L’intensità è comunque quella di un rapporto vissuto fino in fondo, in maniera totale.
«Le relazioni in età adolescenziale sono sperimentazioni, ma questo non significa che abbiano meno importanza o valore, come spesso tendono a credere gli adulti, minimizzando il rapporto tra i cosiddetti “fidanzatini”. L’intensità è comunque quella di un rapporto vissuto fino in fondo, in maniera totale».
Sicuramente, però, è cambiato il modo di concepire l’altro e la vita di coppia, anche a questa età. Si dà molto più spazio all’individualità che al progetto insieme, non c’è più quel senso di “devozione” nei confronti della coppia e della vita a due. Il messaggio con cui gli adolescenti vengono cresciuti è “realizza te stesso”, con una prospettiva quindi molto più individualistica, che emerge anche nel contesto affettivo.
L’io è molto più presente e desideroso di affermarsi».
Spesso i primi amori nascono e finiscono in un arco temporale piuttosto breve. Quali sono i fattori scatenanti delle rotture? Gelosia, leggerezza emotiva, progettualità diverse sul futuro?
«La durata è un fattore molto variabile, in quanto ci sono relazioni che durano pochi mesi, ma anche altre che proseguono per anni. Ci sono ragazzi che sperimentano più relazioni, altri rimangono ancorati a una sola, anche a questa età.
La fine è dettata da molti motivi. Magari l’attrazione verso qualcun altro, il dare spazio a un nuovo desiderio. Potrebbe esserci stato anche un tradimento. Ma sicuramente gli adolescenti sono molto coerenti e quando sentono che il partner non è più quello giusto, si distaccano, mettono la parola “fine”.
Capita che non sappiano più cosa provano, non riescano più a decifrare quel sentimento e allora il passaggio dall’innamoramento, nella sua fase iniziale più eccitatoria e intensa, a quella quotidiana fa sorgere molte domande e si preferisce interrompere.
Sicuramente il tema della gelosia è presente, legato più che altro al fatto di non sentirsi abbastanza, in un’ottica di valutazione/svalutazione di sé. Tra le grandi paure, infatti, c’è appunto quella di non essere adeguati, di non sentirsi abbastanza amati, apprezzati, oggetto di tempo e attenzione da parte dell’altro, addirittura di essere trascurati o “sostituiti” da qualcuno di più interessante. Rientra, di fatto, nel grande tema, del sentirsi accolti e accettati.
Non parlerei di leggerezza emotiva ma, in un’ottica di sperimentazione, non sempre la dimensione dell’impegno prevale sullo spegnimento dell’attrazione fisica e mentale, come invece può accadere nell’età adulta.
Anche la scelta di un determinato progetto di vita, a livello di studi o di lavoro, che comporta ad esempio il trasferimento in un’altra città, non è più vissuto come un ostacolo perché le distanze, complice la tecnologia, si sono accorciate».
Quali sono i meccanismi psicologici che si instaurano a quell’età, quando un rapporto si esaurisce?
«La fine di una relazione è sempre dolorosa, a qualsiasi età. Genera tristezza e confusione, sia in chi lascia sia in chi viene lasciato. Non è meno intensa o significativa che in un rapporto adulto, nonostante le implicazioni siano ovviamente differenti.
C’è un dolore intrinseco, legato alla rottura, a cui si aggiunge però un dolore esterno per come si è giudicati dal mondo adulto».
«C’è un dolore intrinseco, legato alla rottura, a cui si aggiunge però un dolore esterno per come si è giudicati dal mondo adulto».
Questo “strappo emotivo” può portare anche a forme depressive, ansiose e altre problematiche di natura comportamentale, soprattutto se il distacco non è stato consensuale?
«Solitamente non è quello il fattore all’origine di tali problematiche; un’esperienza dolorosa non necessariamente diventa una psicopatologia.
Certo, se un adolescente tende già a intristirsi o ad avere determinate inclinazioni, in un momento di fragilità e sofferenza andrà ancor di più in quella direzione, ma non automaticamente questi “strappi” diventano la causa unica, prima e sola di un problema di tale portata».
Le è capitato, nella sua esperienza di psicologa e psicoterapeuta, di seguire in un percorso di cura questo tipo di fragilità emotiva scatenata dalla fine di un amore?
«Personalmente e confrontandomi con alcune colleghe, posso dire che finora non è mai stato questo il tema principale, nonostante venga magari toccato e affrontato il discorso di una relazione finita.
Questo perché, in un momento simile, ci si può sentire più insicuri o fragili, ma rientra nell’imparare ad affrontare le perdite della vita».
Come si dovrebbe comportare un genitore quando un figlio adolescente vive il primo amore? E quando si interrompe?
«Il mondo adulto spesso è spaventato, pone molti dubbi sulla capacità dei giovani di essere responsabili e avere relazioni stabili, ma minimizza la portata e l’intensità di tali relazioni, riducendole a “storielle che poi passano”.
In tutti gli ambiti, i genitori dovrebbero sempre fare il grande sforzo di provare a ricordare la loro adolescenza, non come modello unico e assoluto a cui fare riferimento, ma per capire i figli a partire da una riflessione su di sé.
Che effetto fa alla mamma scoprire che il suo “ex bambino” si innamora? Paradossalmente, si vuole rendere precoci i figli quando sono piccoli, creando “bambini adultizzati”, poi quando l’adolescente fa l’adolescente paradossalmente l’adulto si terrorizza e lo vorrebbe ancora bambino. Questo è disfunzionale.
Quando la relazione si interrompe, i genitori devono aiutare a elaborare quell’accadimento come avviene per un lutto».
Come affrontare il ripiegamento di un figlio in se stesso dopo la fine di una storia?
«Molto dipende da com’è la relazione tra il genitore e il figlio: alcuni dialogano molto, altri no.
La cosa importante è prendere sul serio il dolore, comunicare la propria presenza e disponibilità e magari mettere in parola emozioni e sentimenti personali. Senza dire troppo, ma usare un po’ se stessi come strumenti di alfabetizzazione emotiva.
È importante lavorare in modo educativo per abituarli ad attraversare il dolore delle perdite ed entrare in comunicazione, mettersi in ascolto anche se la risposta è apparentemente nulla. Ricordare un po’ di sé, di come si è sofferto. E condividerlo».