gemme

N.58 marzo 2025

testimoni

Gemme di memoria per l’albero di Falcone, simbolo di speranza contro la mafia

Luciano Tirindelli, uomo della scorta del Giudice Falcone scampato all'attentato di Capaci per un fortuito cambio di turno, è stato ospite del Rotary Club Cremona Po per parlare dell'eredità di Falcone, della sua lotta per la legalità che sopravvive attraverso le nuove generazioni

Le chiamano “Gemme di Falcone”. Sono gemme di speranza di quell’albero piantato e ben radicato nelle coscienze di molti, l’albero che si trova davanti alla casa del magistrato palermitano.

La vita non si è fermata il 23 maggio 1992, o meglio quella del giudice, di sua moglie e di alcuni uomini della sua scorta ha subito un arresto, per un clamoroso attentato, ordinato dalla mafia, a Capaci. Ma, come sempre ripeteva il magistrato: «Le idee restano e camminano sulle gambe di altri uomini». Idee che sono quelle gemme che i carabinieri stanno piantando in tutta Italia (il progetto si chiama “Un albero per il futuro”) per costruire un bosco diffuso. Gemme sempre fresche nascono dalla memoria. E anche a Cremona a tanti studenti delle superiori e alla cittadinanza sono arrivate cariche di emozioni, testimoniate Luciano Tirindelli, un uomo della scorta Falcone.

L’albero di Falcone, a Palermo davanti all’ingresso dell’abitazione del magistrato assassinato nel 1992 dalla mafia (v. progetto Un albero per il futuro) – foto Wikipedia

Dopo 33 anni, Tirindelli, scampato alla strage per un cambio turno, ha saputo catalizzare l’attenzione di una sala Maffei, in Camera di Commercio, pienissima per due volte in una giornata (il 6 marzo) grazie all’impegno del Rotary Club Cremona Po.

«Mi sono chiesto cosa avrei potuto fare per rendere onore e gratitudine a questi uomini, a queste donne, a questi eroi, ai colleghi e ai tanti innocenti caduti nella lotta alla mafia. Avevo e ho solo una scelta: mantenere vivo il loro ricordo e lottare perché il loro sacrificio non sia stato vano» ha spiegato il poliziotto. La pensione ha spianato la strada ad una “missione” pensata e costruita con altri colleghi e concretizzata nell’Associazione Scorta Falcone Quarto Savona 15 (nome in codice per identificare la squadra destinata a proteggere il magistrato). L’impegno si è fatto testimonianza donata soprattutto ai giovani perché «avere una coscienza antimafia significa mettere in atto una rivoluzione culturale che deve partire da noi», dal quotidiano.

«Mi sono chiesto cosa avrei potuto fare per rendere onore e gratitudine a questi uomini, a queste donne, a questi eroi, ai colleghi e ai tanti innocenti caduti nella lotta alla mafia. Avevo e ho solo una scelta: mantenere vivo il loro ricordo e lottare perché il loro sacrificio non sia stato vano»

Luciano Tirindelli a Cremona nell’incontro con gli studenti organizzato dal Rotary Club Cremona Po

Ai ragazzi, Tirindelli ha raccontato la passione per il suo incarico, la stima per «il dottor Falcone: un grande magistrato che lavorava dalla mattina alla sera e non aveva una vita facile sempre con accanto la scorta». Ha raccontato l’orgoglio di collaborare a quella voglia di giustizia che sfida la paura di essere uccisi per cercare di smantellare un apparato criminale come la mafia.

«Per la prima volta un pool di magistrati lavorava per smascherare Cosa nostra e per dargli un nome» mentre molti la ritenevano (presidente del tribunale di Palermo compreso) «una fantasia», ha spiegato il poliziotto. E per far capire il contesto e la novità del “metodo Falcone” (che seguiva le tracce del denaro) ha anche raccontato l’omicidio Lima che ha dato la stura ai presunti legami mafia – politica. E poi si è soffermato sull’elezione nel 1992 del Procuratore nazionale antimafia nel Consiglio Superiore della Magistratura che invece di sostenere Falcone lo rese vulnerabile davanti ai suoi nemici.

Luciano Tirindelli, uomo della scorta del Giudice Falcone scampato all'attentato di Capaci per un fortuito cambio di turno, è stato ospite del Rotary Club Cremona Po per parlare dell'eredità di Falcone, della sua lotta per la legalità che sopravvive attraverso le nuove generazioni
Giovanni Falcone – foto Wikipedia

Ma il pathos è salito quando il racconto si è concentrato su quel sabato 23 maggio 1992 dove due macchine della scorta (tre poliziotti per auto) accompagnano il magistrato e la moglie dall’aeroporto a Palermo. Tirindelli ha un turno cambiato. Va all’aeroporto il mattino, ma l’aereo del magistrato non arriva. Tornano quindi i suoi compagni (perché lui aveva terminato il turno) al pomeriggio e poi quel tragico momento è racconto della cronaca. «Il magistrato era alla guida» e questo gli costò la vita, perché l’autista, nel sedile dietro, riuscì a sfuggire alla morte. Ma Falcone era da tempo nel mirino. Tirindelli racconta quando una sera a Roma era uscito senza scorta ma mille occhi lo seguivano tra gli affiliati a Cosa Nostra. Ma la mafia voleva una vendetta eclatante («“deve morire a Palermo” disse Riina») per mettere in mostra la sua invincibilità e quindi seppe attendere il momento giusto.

«Oggi – e arriva la denuncia – ancora non sappiamo davvero chi furono i veri responsabili dell’attentato perché certamente oltre alla mafia collaborarono altri».

Tirindelli sottolinea un clima di ostilità nei confronti dei giudici antimafia. L’elicottero della polizia che seguiva la scorta, dalla morte di Livatino, non fu più utilizzato, venne meno un’altra sicurezza. Poi quel percorso sull’autostrada a sirene spiegate, sempre lo stesso, come a rimarcare un passaggio scontato, favorì Cosa nostra. Tanti tasselli non tornano al loro posto e forse non torneranno mai. Ma i giovani che lo fissano mentre si emoziona «sono il futuro per una rivoluzione culturale che parta dal basso». Borsellino non lo ha voluto nella sua scorta, gli disse «devi vivere» e Tirindelli ha trasformato la ferita di quel 23 maggio, in una memoria viva che invita costruire un mondo di giustizia.