strappi

N.62 settembre 2025

riflessi incontra

Lo spirito della vita di Muluye alza la voce per i bimbi d’Etiopia

Il suo nome, Muluye, in amarico, significa "piena dello spirito della vita". È l'unica cosa che le è rimasta della madre, che la abbandonò quando aveva solo 4 anni. Pochi, ma tanti... non abbastanza da dimenticare le radici. Per questo, nella sua nuova vita iniziata con l'adozione da parte di una famiglia cremonese, Muluye canta, scrive e dedica tempo alla sua terra d'origine, per quei bambini che ancora oggi vivono soli per le strade di Addis Abeba

Ci sono nomi che contengono un destino. Quello di Muluye racconta il dolore dell’abbandono, il coraggio della rinascita, il desiderio di ricucire gli strappi e dare senso al filo rosso che conduce i suoi passi. Sugli sgabelli di Riflessi, una giovane donna racconta svolge la matassa del destino che l’ha portata dall’Etiopia all’Italia quando ancora era bambina. Lo fa con pazienza e dolcezza, illuminata da un sorriso che illumina lo studio. “Muluye significa piena dello spirito della vita – racconta – ed è il dono più grande che la mia madre biologica mi ha lasciato. All’inizio ero arrabbiata con lei, avevo solo ricordi negativi. Poi ho capito che il nome scelto per me era più grande della sua assenza”.

A quattro anni ha vissuto l’abbandono, ritrovandosi sola nelle strade di Addis Abeba, dove ha vissuto insieme ad altre bambine nella sua stessa condizione. L’incontro con una persona segna l’inizio della sua seconda vita, accolta in Italia da una nuova famiglia. “All’inizio è stato uno strappo, forte e inaspettato”, racconta. “Avevo sei anni e nemmeno sapevo che esistesse qualcosa di diverso da ciò che avevo sperimentato fino ad allora. Ricordo l’arrivo all’aeroporto di Malpensa: attorno a me c’erano solo persone bianche. Non ero spaventata perché loro erano diversi da me, ma perché io ero diversa da loro”.

Come ricorda Muluye, l’adozione non è un gesto a senso unico: “Senz’altro nasce da una coppia che desidera avere un figlio, ma è un incontro: anche il bambino deve scegliere di adottare la coppia che incontra. È un amore vero, che per crescere deve essere reciproco e bidirezionale”. Incomprensioni, ricordi ingombranti e impronte profonde si sciolgono con il tempo, con il dialogo e con la costruzione di una relazione quotidiana.

Oggi lavora come educatrice, ma non dimentica la propria storia né spegne il desiderio di ricucire gli strappi che il destino ha lasciato nel suo passato, con le proprie radici. Nel 2020 scrive Vivi, una canzone che dà voce alla sua storia con delicatezza e profondità. “Sentivo il bisogno di spiegare perché a volte ero meno sorridente di altri giorni. Desideravo incoraggiare chi come me vive momenti difficili: coltivare la speranza significa imparare a volersi bene, a scegliere se stessi ogni giorno”.

Il bisogno di raccontarsi prende ancora più forza in Scegli me, il libro autobiografico che oggi finanzia progetti educativi e sociali per l’infanzia in Etiopia. Cinque anni fa è tornata per la prima volta nel suo Paese d’origine, ritrovando frammenti di sé nelle persone, nei colori e nei profumi rimasti impressi nei ricordi di bambina. “Ho ritrovato anche cose che speravo di non vedere più”, afferma con un velo di tristezza. “Bambini soli, abbandonati in strada. In loro ho rivisto me stessa e la fine che avrei fatto se nessuno mi avesse trovata. Questa consapevolezza mi ha dato forza per credere nei progetti e restituire a mia volta. C’è una sorta di gratitudine verso la vita: restituire ti permette di curare le ferite che ti porti dentro”.

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