stelle

N.04 Ottobre 2019

STELLETTE

Don Primo, dal fronte alla pace totale

Tra i morti della Slesia nel fango della "inutile strage" nasce il cammino pacifista che porterà a Tu non uccidere

foto archivio Fondazione Mazzolari

Interventista patriota e pacifista convinto. Antipodi che in un cuore aperto al cambiamento si sono toccati e plasmati a vicenda. Due riflessi di una stessa coscienza che non ha mai avuto paura di interrogarsi e quindi di contraddirsi, in un’evoluzione continua. Guerra e pace sono due dei fili rossi del pensiero di don Primo Mazzolari, tessuti per una vita insieme a quelli dell’obbedienza e della libertà di coscienza. Una trama di riflessioni e questioni che ha scosso il pensiero del tempo e che dovrebbe provocarci anche oggi che baciare il crocifisso va così di moda.La storia del Mazzolari pacifista comincia con le stellette militari. Quando scoppia la prima guerra mondiale, il fratello Peppino viene chiamato al fronte; nel 1915 lo stesso Primo lascia i banchi del liceo dove insegna e “si annoia” per arruolarsi volontario.

Finisce prima a Genova, al reparto sanitario e, solo ormai a fine conflitto, nel 1918, viene mandato al fronte come cappellano militare.

Il Mazzolari interventista è un presbitero giovane, immerso nelle letture delle leggi ecclesiastiche e animato da un forte patriottismo. La guerra agli occhi di questo ventenne è giustificabile perché necessaria, uno strumento «per ripristinare la giustizia»; quella era la regola, quello si respirava nella propaganda quotidiana. La morte del fratello al fronte e gli orrori della guerra vissuti in prima persona scardinano la convinzione di Mazzolari della legittimità del conflitto e danno il via a una serie di interrogativi scomodi e dolorosi. Comincia così uno dei percorsi più lunghi e travagliati della coscienza di don Primo; un cammino fatto di messe in discussione e confronto con i testi canonici che lo porteranno negli anni ad un pacifismo totale, coronato con la pubblicazione sotto pseudonimo – a dimostrazione di quanto scottante fosse il tema negli anni ’50 – del volume Tu non uccidere. Qui il parroco di Bozzolo attacca a fondo la dottrina della guerra giusta e l’ideologia della vittoria, proponendo un’unica alternativa valida: quella della non-violenza, da sostenere con un “movimento di resistenza cristiana contro la guerra” e per la giustizia, a cui si arriva solo attraverso la pace. Questa è la vera rivoluzione cristiana, e anche umana. Non si può essere cattolici senza essere pacifisti.

Smettere di dividere il mondo
in bianco o nero
e accettare la sfida
di leggere dentro le sfumature

Nei quasi quarant’anni che separano questi opposti mazzolariani agisce una delle peculiarità più belle di quest’uomo, una cifra del suo pensiero e del suo essere: quella del non lasciarsi mai stare. Un pensiero critico che per tutta la vita ha continuato a ritornare su se stesso, interrogandosi senza mai darsi per definitivo. È dai cadaveri raccolti in Slesia, nel fango della distruzione e della morte causati dall’inutile strage che nasce il seme del pacifismo che verrà, di quel bisogno di tornare fratelli. Un viaggio contorto che parte sempre – come è nella prassi mazzolariana – dalle crisi del presente, dal quotidiano con cui si sporca le mani. Un tarlo, quello sulla legittimità della guerra, che si snoda e si scopre anche attraverso contraddizioni interne, postulando teorie e fissando punti per poi rivederli e riscriverli.

La risposta alla lettera dell’aviatore Giancarlo Dupuis del 1941 è un esempio sincero di questo modus operandi che funziona per tentativi, anche fallaci, di darsi risposte scomode purché ragionate e illuminate solo dalla propria coscienza che legge la Parola. La strada verso la pace vissuta come unica dimensione vera passa attraverso ragionamenti contorti e contraddittori; quando scrive a Dupuis che gli chiede come sia possibile per una Chiesa che vuole costruire la pace chiedere a chi è in guerra di essere fedele alla propria nazione, legge nel tormento del giovane fiorentino il suo. Davanti a una coscienza che entra in crisi, don Primo accetta la complessità senza rifugiarsi nella prassi passata o nei dogmi. «La verità e il bene non sono quasi mai allo stato di limpidezza» scrive; tocca alla coscienza setacciare, in mezzo a una realtà imperfetta, e mancante il vero, il bene. Questo è fare i conti con la vita, guardare l’errore senza rifiutarlo, anzi comprenderlo perché non venga più commesso. Smettere di avere la pretesa di dividere il mondo in bianco o nero per comodità e accettare la sfida di leggere dentro le sfumature.

In un articolo uscito sull’Adesso, rivista che fonda nel 1949, Mazzolari scrive a riguardo della coscienza e della sua non solo possibile ma necessaria sorellanza con la religione: «Sì, siamo cattolici per grazia di Dio; ma cattolico non vuol dire che uno rinunci a pensare con la propria testa là dove l’uso della testa è un dovere dell’uomo, rispettato e consigliato dalla religione». Era un passaggio esplosivo settant’anni fa. Sta diventando un elemento fondamentale da non dimenticare oggi.

«Cattolico non significa
che uno rinunci a pensare
con la propria testa» 

DON PRIMO MAZZOLARI

Parroco, scrittore e pensatore del secolo corto, don Primo Mazzolari è una personalità complessa e impossibile da etichettare, capace di essere figura di riferimento non solo per il cattolicesimo italiano ma anche per il pensiero laico. I suoi scritti e i suoi discorsi hanno portato al centro della discussione argomenti e questioni scomode che la società e la Chiesa avrebbero affrontato con quella apertura solo decenni dopo. Il passaggio dall’idea di una guerra legittima al ripudio di qualsiasi forma di violenza è una delle testimonianze più importanti della capacità di questa figura di mettersi costantemente in discussione. Un coraggio nella ricerca della verità davanti alle tragedie e alla comodità dell’uniformarsi a cui dovremmo ispirarci tutti. Perché se si vuole davvero arrivare alle stelle bisogna attraversare sempre delle difficoltà. Per aspera ad astra.