bontà

N.53 Ottobre 2024

valori

Buoni come il pane. Folli di cui abbiamo bisogno

Di uomini buoni, di folli come don Chisciotte o il principe Myskin, io ne ho incontrati. E credo, che come me, molti altri si siano imbattuti in loro. Forse, insieme, dobbiamo solo farne memoria

«Buono come il pane» è similitudine un tempo utilizzata in riferimento ad una persona per indicarne qualità e virtù. La fragranza del pane appena sfornato, il piacere del palato nel mangiarlo, la sua genuinità semplice e preziosa tanto da esaltare i sapori di ogni vivanda a cui si accompagni rappresentano le sensazioni che si provano quando si ha la fortuna di incontrare un uomo buono.

Oggi quell’allocuzione è utilizzata per lo più da una catena di bistrot o di prodotti da forno. Non so se la causa della sua progressiva scomparsa nel linguaggio quotidiano sia da ritrovarsi nel fatto che non ci si imbatte più in uomini buoni o se sia da ricondursi al fatto che imperante sia la convinzione della identità tra bontà e stupidità. Solo gli schiocchi, ignari di “come vada il mondo”, possono essere buoni… In tempi di cinismo nichilista la legge del godimento, coincidente con la volontà di potenza e di autoaffermazione, è dominante a tal punto da considerare l’uomo che ne è privo un disadattato se non un folle da commiserare o deridere.

In tempi di cinismo nichilista la legge del godimento,
coincidente con la volontà di potenza e di autoaffermazione,
è dominante a tal punto da considerare l’uomo che ne è privo
un disadattato se non un folle da commiserare o deridere

È la sorte toccata a Don Chisciotte della Mancia, il cavaliere fedele ai valori dell’onore e della gentilezza, pronto a proteggere i deboli e a liberarli dai soprusi dei potenti. Combattere a cavallo di un malandato e vecchio Ronzinante con a fianco un impacciato scudiero, il materialista Sancho Panza, è una sconfitta annunciata. A mani nude è impossibile sconfiggere alcuna malvagità! L’ideale cade miseramente in una storia che pare rendere vincitore il più forte e il più spregiudicato. Il prode cavaliere può suscitare simpatia ma non certo ammirazione; si sorride della sua ingenuità e nel contempo lo si giudica uno sciocco sprovveduto. Don Chisciotte non può che apparire un folle.

La stessa sorte accade al principe Myskin, l’Idiota di Dostoevskij: sa che il male abita il cuore dell’uomo ma non se ne lascia sopraffare. Sopporta la commiserazione di chi lo giudica un sempliciotto, ignaro delle buone maniere che impongono ad un principe di non conversare amabilmente con persone di servizio; è pronto a rinunciare alla donna che ama pur di non arrecare dolore a chi considera amico. Con orgoglio, nonostante lo sguardo deplorevole della misera nobiltà da salotto, affermare che il suo animale preferito, da quando un raglio gli aveva regalato serenità nell’animo e chiarezza di idee, è l’asino. «Mi piacciono molto gli asini… è un animale forte, utile, gran lavoratore, economico, paziente e tollerante».

È lo stesso principe Myskin, l’Idiota, a diventare quel raglio capace di interpellare ogni uomo e donna che incontri e consentire  loro di fare i conti con la personale malvagità. La sua bontà si palesa nella mitezza di chi sa vedere il bene di cui ciascuno è portatore, che non risponde alla violenza subita né con l’ira né con la vendetta, che sopporta la derisione senza rinunciare ad essere se stesso. Un uomo siffatto non può che essere un folle e può aver vita solo nella invenzione letteraria. Se davvero esistesse non potrebbe che essere un uomo malato. Come può essere sano un uomo privo di qualsiasi volontà di autoaffermazione e di ricerca di successo?

I nichilisti,accecati dal narcisismo di cui si compiacciono, scambiano la bontà con la vigliaccheria impotente di chi non sa farsi valere. Di fatto non riescono a tenere il loro sguardo fisso su quell’asino il cui raglio squarcia il buio della notte del non-senso del successo, del potere,del denaro. Ciò che più mal sopportano è di vedere l’uomo buono felice, privo di rancori, di invidie e di risentimenti. Ridono della sua gioiosa ingenuità e, senza accorgersi, perdono progressivamente i tratti tipici del volto umano. Non sono tanto le azioni a palesare la bontà, ma un modo d’essere, una postura verso gli altri. L’uomo buono è libero dal ricordo dei torti subiti, è disposto a dare fiducia a tutti, è benevolo e fiducioso, preferisce «subire ingiustizia piuttosto che arrecarla».

Sentiamo poco parlare di lui perché l’ironia cinica, pervasiva negli spazi della comunicazione, ha convenienza a tenere nascosto ciò che eroderebbe la sua stessa ragione d’essere, ovvero la protervia del dominio. Eppure,come scrive Guccini nella canzone dedicata a Don Chisciotte

«nel mondo oggi domina l’ingiustizia
ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia…
proprio per questo, Sancho,
c’è bisogno soprattutto
d’uno slancio generoso,
fosse anche un sogno matto».

I realisti, talora indifferenti ai valori e riluttanti nei confronti dei doveri, sono convinti che il male e il potere abbiano un aspetto così terribile che solo chi è armato di forza e di superbia ostinata può affrontarli.

«Sono stato realista anch’io
ma oggi me ne frego…
preferisco le sorprese di quest’anima tiranna
che trasforma con i suoi trucchi
la realtà che ha lì davanti,
ma ti apre nuovi occhi
e ti accende i sentimenti».

Di uomini buoni, di folli, il nostro tempo ha bisogno. E io li ho incontrati. E credo, che come me, molti altri si siano imbattuti in loro. Forse, insieme, dobbiamo solo farne memoria.