luce
N.16 Dicembre 2020
Con la mente dello scienziato, con lo sguardo del poeta
Incontro con il professor Fulvio Parmigiani: una vita dedicata allo studio degli spettri luminosi, dal sincrotrone, alla «pennellata di bianco» che accende l'emozione
Ricordo ancora la prima volta che incontrai Fulvio Parmigiani. Ero un liceale con una fervida immaginazione e il suo primogenito Simone di lì a poco sarebbe diventato uno degli amici più cari. Nei miei occhi di adolescente condensava il genio di Steven Spielberg e lo spirito avventuriero di Indiana Jones. Lo ritrovai qualche anno più tardi sui banchi di un’altra scuola. Lui docente di Fisica presso la sede cremonese della facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano, io universitario, alle prime armi.
Lo scorso anno, nel cinquantenario della laurea in Fisica e dopo una carriera dedicata alla ricerca, l’Università degli Studi di Trieste lo ha insignito del titolo di Professore emerito.
Iniziò giovanissimo a studiare i laser e l’interazione della luce coerente con la materia. Da principio si fa largo l’idea di sviluppare un laser a raggi X: «Il primo ricordo della luce è nitido. Da bambino abitavo in città, la stanza da letto affacciava su via Brescia e direttamente su quello che diventerà poi Cavo Cerca. Ricordo un’ora nei pomeriggi d’estate nella quale il sole si rifletteva nello specchio d’acqua ed il riflesso veniva proiettato sul soffitto della cameretta. Erano macchie di luce, in continuo movimento perché l’acqua scorreva. Avevo sei anni, nonna mi metteva a letto. Non ho mai dormito tanto nella mia vita».
Nel lungo viaggio, una tappa importante, è San Josè, Silicon Valley. Nel centro di ricerca IBM comincia a studiare le proprietà ottiche di particelle nanometriche. Rientrato in Italia diventa Professore presso il Politecnico di Milano e poi all’Università Cattolica di Brescia. Si dedica alla ricerca delle spettroscopie ultraveloci, indispensabili per comprendere le dinamiche elettroniche in materiali come superconduttori ad alta temperatura.
«La luce – osserva – è uno dei fenomeni fisici più antichi. E come quasi tutti i fenomeni fisici importanti, è parzialmente compresa anche oggi. Dal punto di vista personale è ciò che si oppone all’oscurità. Non esisterebbe luce in assenza di oscurità. Nella fisica moderna, quando vai a quantizzare i campi, anche in assenza di fotoni, esiste una energia di campo zero. Il nulla filosofico non esiste in fisica. La luce ha un legame forte con i colori. Per persone come me molto sensibili al colore, esiste un filo diretto con gli stati emotivi».
L’incontro scientifico con la luce arriva molto tempo prima: «Il primo esperimento, è legato alla prima volta in cui sono entrato in un laboratorio di ricerca. Era il 1976, avevo appena terminato il servizio militare nel reggimento di artiglieria. Mi è sempre stato chiaro come attraverso la luce, misurandone la parte riflessa, una volta che interagiva con la materia, si potessero dedurre informazioni sulla natura della materia stessa. Da lì ho iniziato i miei studi di spettroscopia. Quando parliamo di luce, non parliamo della luce che i nostri occhi vedono, parliamo di radiazione elettromagnetica: chiamiamo luce solo un piccolo spettro. Anche i raggi X o quelli gamma sono luce e tutte queste radiazioni possono essere utilizzate per studiare la materia».
Per più di dieci anni il professor Parmigiani è ricercatore affiliato alla LBNL Berkley, collabora con gruppi di ricerca che lavoravano su una sorgente di luce molto particolare, sempre nel campo dei raggi ultravioletti estremi ed i raggi X: il Free Electron Laser. Ha inizio l’ennesima attività di una carriera straordinaria, con il Sincrotrone di Trieste, dove viene sviluppata una linea sperimentale rivolta allo studio delle proprietà magnetiche dei materiali. A Trieste prima è Professore Ordinario, poi Direttore del Dipartimento di Fisica. Qui si dedica a laser a raggi X. È uno dei ricercatori che partecipa alla progettazione e sviluppo del Free Electron Laser (Fermi@Elettra), di cui è coordinatore scientifico dal 2004 al 2015.
«Però la luce non è mai stata un’ossessione. Piuttosto una compagna. Tutt’ora lo è. Sono stato mosso dalla stessa energia di un pittore che vuole terminare un quadro. Da bimbo sognavo, non avevo le idee chiare. Venivo da un contesto sociale e culturale di una famiglia di operai. Volevo fare qualcosa di molto importante. Pensavo di diventare ingegnere navale. Papà mi regalò un trenino elettrico. Io però restavo meravigliato del fatto che inserendo una spina in una presa, potesse muoversi. L’ho smontato più volte, così come la radio di papà. A dieci anni ho cominciato ad interessarmi ai fenomeni fisici, compresa la luce».
Fulvio Parmigiani è prima di tutto una persona per bene, un uomo generoso, da sempre molto attento ai bisogni dei suoi studenti. In lui ho sempre pensato convivano in armonia tante anime.
Terminati gli studi, chiesi un consiglio quando ricevetti due offerte lavorative. Mi regalò anche il suo primo libro di poesie. In gran parte dei suoi scritti compare la parola luce: «In un contesto poetico luce rappresenta qualcosa che leghi direttamente al concetto di speranza. C’è un abisso tra la luce che studio per mestiere e quella poetica. Nelle poesie luce è qualcosa che assimilo ad una pennellata di bianco in un quadro. Non c’è pensiero razionale, ma emotivo».
In pallidi flutti di luce
la luna
boa galleggiante nel mare dell’infinito;
oltre, le stelle
ascoltano, silenziose,
l’infrangersi delle onde
sulla scogliera fragile della terra.
“Canzoni d’amore ed altro”,
Fulvio Parmigiani, 1974