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N.50 maggio 2024

riflessi incontra

Con “L’Ora buca” il giornalismo si impara sul campo

Patrick Pavesi è giornalista e insegnante e dalla sua esperienza è nato il progetto orabuca.it, un vero giornale online di cui gli studenti sono insieme autori e destinatari: «Così affrontano la responsabilità di essere occhi e orecchie dei loro lettori»

A Cremona c’è una pagina virtuale disegnata per raccontare l’attualità attraverso gli occhi delle nuove generazioni. È L’ora buca, progetto di giornalismo per i giovani, al contempo autori e destinatari. Promosso dall’associazione Quindie, si pone l’obiettivo offrire un’esperienza di crescita culturale, civile e sociale attraverso la formazione e il lavoro, per conoscere meglio il mondo, imparare a leggerlo e raccontarlo. La testata è online dal 24 aprile 2024 e può contare su una rete di collaboratori composta da una ventina di ragazzi e ragazze, con età compresa tra i 17 e i 21 anni. Alcuni stanno terminando le superiori, altri sono già all’università. Ad accomunarli, il desiderio di avvicinarsi alla professione e mettersi alla prova.

«È difficile rendersi conto di quanto lavoro possa esserci dietro una notizia», afferma Patrick Pavesi, giornalista, insegnante e direttore del progetto. Cercare fonti, creare contatti, imparare a muoversi nel mondo dell’informazione è il compito che spetta agli aspiranti redattori, alle prese con i fondamenti del mestiere e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Le idee proposte vengono vagliate e adattate al taglio della testata, che spazia dall’attualità alla cultura, con approfondimenti tematici definiti in base agli interessi dei partecipanti. «Mi piacerebbe portare in pagina la loro curiosità – spiega Pavesi – scegliendo temi che interessano ai giovani, da trattare con un taglio diverso da quello che darebbe un adulto».

«Lo spazio bianco costringe
ad ampliare il pensiero e ad approfondire,
capire cosa è importante e cosa secondario,
per dare il giusto spazio alla notizia»

Tra i primi ostacoli c’è la timidezza, soprattutto quando si tratta di passare dalla penna alla parola. «Telefonare non è semplice per una generazione che messaggia, così come tradurre le esperienze vissute in un testo scritto, che è alla base di ogni contenuto d’informazione». La pagina non è uno spazio passivo, ma un contenitore di idee e riflessioni, che sul web è potenzialmente infinito. «Ciò può essere un vantaggio o un limite», puntualizza Pavesi. «L’assenza di margini fisici lascia la possibilità di esprimersi in libertà, ma per i ragazzi, abituati ad una comunicazione molto più sintetica, questo può diventare un ostacolo. Lo spazio bianco costringe ad ampliare il pensiero o approfondire determinate tematiche, capire cosa è importante e cosa secondario, per dare il giusto spazio alla notizia».

L’Ora Buca offre agli aspiranti giornalisti l’occasione per vivere esperienze normalmente lontane dalla propria realtà quotidiana. Non capita tutti i giorni d’intervistare Paolo Condò, cronista per Sky Sport, oppure incontrare padre Paolo Benanti, ospite lo scorso 10 maggio al campus Santa Monica di Cremona per parlare delle “AI tra algoritmi e libertà”. «In quel momento hanno la responsabilità di essere occhi e orecchie dei loro lettori», aggiunge Pavesi. «Lo fanno con entusiasmo, non vedono l’ora di condividere i propri articoli pubblicati… È emozionante vederli appassionati, orgogliosi del proprio lavoro e desiderosi di fare ancora, fare meglio».

Le candidature sono ancora aperte: «Ci piacerebbe allargare il nostro gruppo di lavoro, fino a coinvolgere tutti gli istituti scolastici del territorio. Sarebbe bello portare qualcuno di questi ragazzi ad ottenere il tesserino da pubblicista». I più esperti potrebbero poi affiancare i nuovi arrivati: in redazione, ognuno può imparare dagli altri.

«Vorrei insegnare con molta umiltà il mestiere che ho sempre amato e vorrei continuare fare», conclude Pavesi. «Scrivere significa evadere dai confini della realtà e cercare di lasciare qualcosa di sé, qualcosa che sentiamo di avere dentro, perché qualcun altro possa un domani riviverlo nelle nostre parole».