partenze
N.37 Gennaio 2023
E tutto deve mutare… ma solo di una virgola
Diciamo pure subito che Sanremo non deve innovare, ma semplicemente confermare e offrire un prodotto tranquillizzante e trasversale...
Si sa, ad ogni inizio dell’anno corrispondono aspettative e propositi, quasi che si ricominciasse davvero daccapo e ci si mutasse di vestito; e così si decide – era ora – di sistemare la tal questione, di iscriversi a quel corso tanto desiderato quanto rimandato, di darsi più tempo per viaggi e anche, perché no, di smettere il tal vizio o quella abitudine. La cosa certa è che nulla cambierà o se cambierà di solito non è in relazione a questi propositi che arrivano e scompaiono puntuali. Per quel che riguarda la musica possiamo tentare, ora che siamo al via di un nuovo anno, di dare uno sguardo ai tanti avvenimenti che si preannunciano fragorosi e fanno immaginare chissà quale novità epocali.
Una persona mediamente acculturata si trova a vivere per la maggior parte dentro alla musica pop – senza magari scegliere, termine ormai abbastanza privo di significato oggi nel campo dei media – in minima parte presenziando a qualche concerto classico – stavolta sicuramente operando una scelta, visti i costi a volte notevoli o gli orari televisivi o le sovrapposizioni di opzioni; qualche nostalgico si dedicherà a generi particolari, come la lirica o la musica sacra o il jazz, coltivando una propria predilezione speciale.
Pensate che cambieranno cose? Prendiamo l’avvenimento più pubblicizzato del momento, l’inevitabile Sanremo nazional-popolare: ci dirà qualcosa di nuovo?
Sentiremo musica di qualche originalità?
Diciamo pure subito che Sanremo non deve innovare, ma semplicemente confermare e offrire un prodotto tranquillizzante e trasversale. Le rivoluzioni musicali sono state digerite su quel palco solo dopo che il grande pubblico le ha accolte nel suo mondo totemico (uno su tutti: Vasco Rossi che arriva ultimo a Sanremo 1982, penultimo l’anno dopo e diventa poi il rocker più amato in Italia).
Probabilmente conta di più il mondo intorno, i teatrini social, i sarcasmi verso chiunque si affacci sulla scena; magari l’organizzatore sceglie in base a quanti follower ha questo e quello, strizza l’occhio a destra e a sinistra; ciascuna fascia di ascoltatori è rappresentata secondo il mai scritto ma ben presente manuale aritmetico: ragazzi che cantano per ragazzi, ex-giovani per gli adulti, attempati per “matusa” nostalgici: la somma deve dare numeri di ascolto uguali o superiori all’anno precedente; ma non è difficile arrivarci, basta un pallottoliere. Così arrivano puntualmente scelte “mai accadute”, presenze “entusiasmanti”, sicuramente qualche cantante “destabilizzante”, qualche testo sarà un “azzardo”, nuove proposte dall’”energia infinita”, ritorni che devono sembrare “grandi”, suoni “assolutamente” inediti…
Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
porterà una trasformazione
e tutti quanti stiamo già aspettando…
Al netto del costume e del fatto che Sanremo sia una rappresentazione e un business – ma è anche inutile fare del moralismo, è pur sempre vita di oggi positiva – possiamo tranquillamente anticipare che la musica sarà del solito livello di secondaria importanza, che il vincitore sarà prevedibilissimo – guardate chi ha più visualizzazioni o chi ha venduto di più in passato e non sbaglierete – che i cantanti che veramente hanno originalità e sanno parlare all’oggi non ci saranno o saranno ospiti, e via dicendo. Tutto cambierà alla grande, apparentemente, perché tutto resterà uguale e confermatissimo.
E cosa avverrà nel campo della cosiddetta musica “colta”?
Dobbiamo aspettarci le innovazioni che vengono sbandierate nelle presentazioni delle stagioni liriche o sinfoniche o cameristiche? Il trend ci dice che la causa del contrarsi del pubblico è dovuta al conformismo dei programmi, dove si presenta musica che è distante dalla percezione comune, quasi messa nell’angolo dalla sua elitarietà nel contesto socio-culturale; è lo stesso pubblico ormai riferibile agli “-anta” che è poco interessato al nuovo e a nuove interpretazioni, di fatto incidendo nelle scelte dei direttori artistici che dal canto loro offrono sempre gli stessi interpreti e più o meno lo stesso repertorio venerato e riverito. Eppure si “deve” inserire qualche novità, cercare di mostrare una vitalità, presentare il tal interprete come “originale”, la tal regia come “sovvertitrice”, qualche ripresa “inedita”, il programma “davvero unico”…
sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno….
Il problema qui è che la sostanza non cambia: la musica, che è imbalsamata e fissata sottovetro in ripetizioni sempre identiche, è fuori epoca da un bel po’, ha suoni sorpassati, ha tempi di decodifica lunghissimi.
Le musiche nuove? Certo è importante che ci siano e che continuino il grande mondo classico di cui riprendono la grandiosa solennità e gestualità; peccato che il più delle volte il moderno non comunichi gran che, forse perché il filone è esaurito o perché insegue pensieri troppo astrusi.
Sicuramente si intravvedono qui e là mondi nuovi, commistioni e travasi interessanti, ma l’episodicità di esecuzione ne fanno un ambito chiuso tanto esaltato dai critici quanto isolato.
Il fatto che questa musica non passi nell’audience mediatica collettiva la dice lunga. Come si può capire anche che un musicista classico come Giovanni Allevi si sia piegato a un timido rock edonistico da salotto e riesca a catturare fette notevoli di pubblico.
L’apparente caos del mondo musicale di oggi deriva dall’inguaribile tendenza all’individualità del mondo occidentale: ognuno rivendica la propria scelta e ognuno pretende che sia la migliore; e tutto deve mutare, ma solo di una virgola.
L’anno che sta arrivando,
tra un anno passerà,
io mi sto preparando,
è questa la novità
(Lucio Dalla, 1978)