regole

N.54 novembre 2024

rubrica

La musica, matematica dell’anima

«La musica è un esercizio inconscio di matematica, nel quale lo spirito non si rende conto di contare» (Leibnitz)

Che la musica abbia a che fare con regole matematiche è evidente anche a chi semplicemente ascolta: come fanno due o più musicisti ad incastrare le loro parti se non c’è un qualche sistema che lo permetta? Se c’è un ritmo in una musica, perché vi sono suddivisioni misurate? Se si facesse un brano di musica con una chitarra completamente fuori tono e senza ritmo, la gente lo apprezzerebbe? A quel punto sarebbe percepito dall’orecchio come rumore piuttosto che musica.

Mozart nella “Sonata in C KV 279” ha usato la sezione aurea, concependo il brano in modo che il rapporto tra il numero di battute nello sviluppo e nella ricapitolazione e il numero di battute nell’esposizione fosse circa 1,618

Chiaro è, quindi, che nella musica c’è un ordine e ci sono procedimenti tecnico-scientifici nei processi artistici e che il musicista è una specie di alchimista che possiede delle metodologie esatte per disegnare melodie o sovrapporre suoni. Chi inizia a studiare musica ha subito a che fare con la partitura e la scrittura, ossia con un grafico che assomiglia a geroglifici tutti particolari o a simboli che vogliono dire altezze e proporzioni esatte. La musica è basata su rapporti matematici: una delle più antiche leggi fisiche scoperte dall’umanità è quella per cui i rapporti di lunghezza di una corda tesa sono inversamente proporzionali ai rapporti di frequenza dei suoni prodotti (1/2 per l’ottava, 2/3 per la quinta). Furono quei matematici nati dei Pitagorici a servirsi della musica come spiegazione e paradigma dell’esistenza, dall’anima al cosmo. Poi, ci furono Keplero e Zarlino a parlare di affinità fra le orbite misurate dei pianeti con i rapporti fra i suoni, ci fu Rameau ad affermare perentorio che «la musica è una scienza fisico-matematica» e, infine, Leibnitz, da parte sua, che dichiarava: «La musica è un esercizio inconscio di matematica, nel quale lo spirito non si rende conto di contare».

I Genesis sono ricorsi nella loro “Fifth of Fifth” alla serie di Fibonacci in cui troviamo tre assoli che hanno lunghezze di 13, 34 e 55 battute.

Ma la musica è anche un’arte della costruzione, dove i singoli elementi sono mattoncini di un lego neanche tanto semplice. Ecco, quindi, che la tecnica teorica ci parla di notazione, pentagramma, chiavi, dinamiche, metro, battute, tempi semplici, composti, sincopati, contrattempi e poi di scale musicali, di contrappunto, armonia, accompagnamento, con tutti i capitoli e sottocapitoli di norme e indicazioni precise.

Miles Davis innovò gli schemi dei pezzi con l’indicazione di semplici scale e nessun accordo. “So What” è entrato stabilmente nel grande repertorio della musica Jazz, diventando la bandiera del jazz modale

Come se non bastasse si arriva poi alla musica contemporanea che ha applicato metodi matematici a più non posso: in molte tecniche compositive il ricorso ai numeri è programmatico, basti pensare alla sezione aurea e alla serie di Fibonacci (in cui ogni numero è la somma dei due precedenti – 0,1,1,2,3,5,8,13,21, realizzata con l’imitazione di una voce strumentale rispetto ad un’altra dopo 21 battute, un’altra dopo 13, la terza dopo 8 e così via) e anche agli studi basati sulla divisione dell’ottava in 3 o 4 parti uguali, come nell’opera di Coltrane, Shorter, Miles Davies.

Come non citare poi la dodecafonia, tecnica compositiva in cui le 12 note vengono trattate come serie da rispettare nell’ordine e nelle sovrapposizioni.

Da qui ancora si è passati alla traduzione in musica di integrali matematici, algoritmi e, di recente, di Intelligenza Artificiale che manipola parametri sonori. Chissà se qualcuno dei lettori ci avrà capito qualcosa… Forse potrebbe pensare: “Certo, la musica classica per forza è complessa, se già all’ascolto è difficile, la sua tecnica lo sarà altrettanto”.

Yannis Xenakis è uno dei primi a utilizzare l’informatica e il calcolatore per la composizione musicale, da “Orient-Occident” (1960) fino a “La Légende D’Eer” (1977)

Ebbene, prendiamo una canzone dei nostri tempi: pensate che sia facile elaborarne una?

La struttura già comincia ad avere regole precise – anche se vi sono tantissime varianti – gli ingredienti devono essere Introduzione, Verso, Ponte, Chorus, Verso, Chorus. Chorus, Outro. Nello specifico, l’Intro “deve” far capire il carattere e il genere a cui appartiene la canzone, il Verso “deve” raccontare, esprimere idee, il Chorus “deve” contenere la parte più orecchiabile, quella che cattura l’orecchio, il Ponte serve a spostare il movimento musicale da una sezione all’altra e l’Outro ha lo scopo di non far finire troppo bruscamente la canzone. Ciascun dettaglio poi ha il suo bagaglio tecnico: disposizione degli accordi, battiti della sezione ritmica, alternanza degli interventi strumentali, impostazioni della vocalità, individuazione dei timbri e così via.

A questo punto uno potrebbe sospettare che la musica si faccia con la tecnica: niente di più sbagliato! La musica non si riduce a regole e nessuno riuscirebbe a fare una musica decente applicando norme e divieti. La musica è quel mistero che attraverso la matematica fa venir fuori un’anima; è esperienza che coinvolge l’uomo intero, che fa penetrare in stati della mente indicibili con parole normali, riflette vibrazioni consce e inconsce, suscita energie e identità, interpreta amori e dolori, traccia relazioni fra sé e il mondo, fa unire terra e cielo, materia e spirito. Nessuno è ancora riuscito a spiegare con esattezza come avvenga il passaggio dalle regole alle emozioni, perché la musica è intraducibile in parole.

Eppure la musica è ordine, e non può contenere alcuna negatività.