velocità

N.49 aprile 2024

rubrica

Ma dove corre questa musica “giovane”?

La produzione musicale non si sottrae all'evoluzione della società, cambiando linguaggi, forme, velocità.... Non si vede perché la concentrazione/velocità di messaggi non possa portare a suoni inediti e a forme nuove di espressione

Il mondo è pieno di vite a velocità diverse che si sovrappongono: le balene hanno una vita lentissima, le farfalle vedono la luce qualche settimana, le rocce vivono ere geologiche, ci sono fiori che vivono dall’alba al tramonto. L’uomo, però, sembra sia l’unica specie ad essersi adattata a ritmi sempre più frenetici: gli spostamenti oggi sono superveloci, le sollecitazioni sensoriali arrivano da ogni parte con frequenze ravvicinate, le comunicazioni vivono di un’immediatezza temporale frastornante.

Chi ha una età neppure troppo avanzata si rende conto di persona del mutamento antropologico che stiamo vivendo: tutto ci scorre intorno a velocità quasi parossistica. Naturalmente possiamo osservare anche nella musica questo cambiamento. Ad esempio, prendiamo un rap di oggi e confrontiamolo con un’aria di Tosti, campione di canzonette, pardon, di romanze di inizio Novecento. Nel primo vi sono sequenze a mitraglia, nell’altra si gira intorno a un sentimento accarezzandolo a lungo; da una parte mescolanze di gerghi, slang e situazioni, dall’altra bella lingua e comode rime melodiche; e ancora nel primo, scatti e schizzi di immagini disarticolate contro le espressività placidamente cullate del secondo.

Che dire di un brano per pianoforte di oggi a confronto con una sonata classica? Qui vi è la bella costruzione con un primo motivo rigorosamente imperioso e un secondo che vi si accosta cantabile, lo sviluppo tematico che fa sembrare la musica una battaglia fra opposti, la magica ricomposizione finale, il bell’adagio lacrimevole, l’intermezzo danzante e un finale brillante per fare un quadro completo di buoni sentimenti da sottoporre al dorato mondo dei salotti. Là – pensiamo per esempio a un brano del chiacchieratissimo Giovanni Allevi – c’è una semplice idea con una breve divagazione giusto per far tornare subito-subito la ripetizione esatta-esatta dell’idea di prima, il più possibile orecchiabile, come una mezza parola detta a un amico al bar. Un tempo ci volevano tre quarti d’ora per raccontare una storia in musica, adesso tre-minuti-non-di-più bastano a esaurire un pensiero in note.

Tre minuti… in realtà l’evoluzione attuale sta bruciando anche la soglia dell’ascoltabilità: negli smartphone, tablet e altre diavolerie tecnologiche si assiste a una polverizzazione dei tempi. Non solo la memoria è continuamente aggirata, ma tutto si ammucchia in modo da distruggere i punti di riferimento collettivi. Tale è la rapidità e la varietà di sollecitazioni che ognuno ha il suo mondo sonoro completamente diverso da quello del vicino. Non è impossibile pensare che in futuro vi saranno microcosmi paralleli non più in asse fra loro e chi contribuisce a questa moda sa che il suo intervento deve essere veloce, comprensibile per chiunque, facile da piazzare e da deglutire, effimero quanto basta. Neppure c’è bisogno che l’apparire sia vero e/o verificabile, autentico o copiato (e questo sarà un bel guaio prima o poi… ). Le storie su Instagram hanno commenti musicali stringati, su TikTok le melodie si volatilizzano in un nanosecondo, la musica si riduce a jingle strafacili, a flash fatui, a idee senza seguito, a melodiette troncate, a forma senza articolazione, ad accordi minimalisti, a citazioni saccheggiate, a note senza perché.

Come si vede, si è arrivati a vedere la fine dei capisaldi di logica musicale che hanno retto la musica da Bach in poi e che i compositori classici ancora imparano nelle accademie: tema, struttura, polifonia, fedeltà all’autore, utilità sociale della musica.

Dobbiamo pensare che tutto ciò sia negativo?

Ci sono naturalmente pareri discordanti e, a dire il vero, tanti modi di far musica stanno convivendo pacificamente. Fuor di dubbio è che ci sono mondi che arrancano e mondi che avanzano, maniere lente di intendere la musica e altre che incalzano, percezioni che non si modificano in alcune generazioni e altre che per forza stanno cambiando con il mutare della tecnologia. Ci sono realtà musicali che scompariranno o addirittura stanno morendo sotto i nostri occhi (il che non vuol dire che non mantengano un valore per la cultura: semplicemente finiranno in archivio) e altre che si creeranno con la imprevedibile, inarrestabile, insopprimibile, giocosa varietà di apparenze del fare artistico.

I nostri ragazzi non trovano il tempo per ascoltare un intero cd, così come fanno fatica a seguire un ragionamento completo fatto a voce naturale, si distraggono quasi subito se i loop non sono di ultima generazione, non afferrano i suoni a meno che non siano sparati a 360 gradi in surround con effetto Dolby e files ad alta definizione, ascoltano un motivetto e lasciano perdere il resto come quando condensano il loro sentire in un emoticon o in un commentino cifrato.

Probabilmente è solo questione di evoluzione, cioè di tempi che stanno mutando e di approcci diversi all’arte: dal melodramma si è passati al cinema, dal quadro alla fotografia o al video, dall’orchestra ai campionamenti, dal suono dal vivo ai supporti digitali. Come sono cambiati i contenitori tecnici dell’arte, così non si vede perché la concentrazione/velocità di messaggi non possa portare a suoni inediti e a forme nuove di espressione. Per chi appartiene ad altri mondi è una sfida, un affrontare tempi nuovi, un andare alla ricerca di ciò che di positivo vi può essere nel presente, adattandosi e mutando modi di pensare e creare.

L’arte cambia continuamente, ma ci sarà sempre.