pace
N.45 Dicembre 2023
Pace, adesso o mai più
Il pensiero radicale sulla pace di don Primo Mazzolari di fronte a un mondo che continua a fare la guerra
Questo titolo è una provocazione che gioca su la parola «Adesso», il quindicinale fondato da don Primo Mazzolari nel 1949. Tra i temi affrontati da questa rivista, quello della pace fu uno di quelli che ebbe un posto centrale.
Come mai il tema della pace è tanto caro al parroco di Bozzolo, di cui dal 2017, in diocesi di Cremona, è aperta la causa di beatificazione?
Nel 1914, mentre in Italia si faceva avanti la domanda sulla necessità o meno della guerra, don Mazzolari, prete giovanissimo era interventista, cioè profondamente convinto che fosse finito il tempo di un cattolicesimo alla finestra. A suo parere, in quel momento storico i cattolici avrebbero dovuto dare il loro contributo, anche con le armi in mano, se la Patria chiamava. Dal novembre 1915 fino al 1920 fu arruolato nell’esercito, dapprima come prete soldato impegnato nelle retrovie poi come cappellano militare. Dopo cinque anni a servizio dell’esercito, scrive nel suo diario: «Ho schifo di tutto ciò che è militare… Se la caserma non si trasforma in casa dell’educazione, chi più presto la butta giù rende un servizio alla società». Viene spontaneo chiedersi cosa sia successo per fargli cambiare parere in modo così drastico.
La risposta è facile da capire. Vivendola dal di dentro, sente che la guerra è realtà che disumanizza, impoverisce e origina quell’odio tra i popoli che porta solo distruzione e morte. Scrive: «Quello che noi abbiamo visto e goduto è forse un po’ diverso dal mondo che immaginate. La guerra non è una parata. Laggiù si moriva, a centinaia, a migliaia. Ed erano giovani che, con calma disperata, chiedevano un motivo per chiudere gli occhi in pace. Ho visto il mondo. Non il mondo dei nostri manuali, ma quello per cui il Signore si lasciava crocifiggere in ogni caduto. Dovevate vederci dopo una settimana di Carso o di Piave: color di terra, sporchi, cenciosi, pidocchiosi e gli occhi pieni di morte».
«Ho visto il mondo.
Non il mondo
dei nostri manuali,
ma quello per cui il Signore
si lasciava crocifiggere
in ogni caduto»
Ciò che lo manda profondamente in crisi è che la guerra si sostiene su una logica che è l’esatto contrario del Vangelo: quella del nemico. Come cappellano militare si trova ad annunciare ai soldati il Cristo che muore in croce per rendere tutti fratelli, in un contesto dove la logica militare grida che l’altro è un nemico da distruggere. A questo riguardo è molto significativa un’omelia del venerdì santo del 1920, che egli riporta nel suo diario: «Come volentieri avrei gridato ai fratelli ignoti che pregavano con me il Cristo, che quelle braccia distese sulla Croce stringono tutti gli uomini senza eccezioni! Perché ci siamo fatti tanto male? Perché non ci siamo ancora spogliati di tutti i residui maligni di questi anni d’inferno? Insultati, reagire. Questa è la logica militare e io non ho nulla da aggiungere. Ma io credo che il tempo di una simile logica è passato o bisogna farlo passare. Contro la logica militare che è prepotenza, anche quando è usata moderatamente bisogna mettere la logica umana e cristiana. Non è su questa via che gli uomini s’incontrano e s’affratellano».
Molti anni più tardi, nel 1941, sarà il primo – almeno tra i cattolici – a parlare di «obiezione di coscienza». A un giovane aviatore di Firenze, Giancarlo Dupuis, che gli sottoporrà per lettera una questione di coscienza molto delicata, egli risponderà in modo deciso e autorevole. Da una parte – scrive il giovane – la Chiesa chiede ai cattolici di costruire la pace, in nome del Vangelo, dall’altra esorta ad obbedire alle leggi dello Stato. Ma quando, in campo militare, i superiori ordinano di fare qualcosa contro la propria coscienza, come bisogna reagire? Egli in una lunghissima lettera, che prenderà il nome di Lettera a un aviatore, risponde senza mezzi termini di seguire la propria coscienza, pagando anche di persona, se fosse stato necessario. Quando la propria coscienza dice che bisogna disobbedire a un ordine che va contro la vita dell’uomo, bisogna farlo, perché solo così si può costruire un mondo nuovo e una giustizia nuova.
«Perché non ci siamo
ancora spogliati
di tutti i residui maligni
di questi anni d’inferno?»
Nel 1945, ne Il compagno Cristo, ai reduci della Seconda Guerra mondiale, «tornati dopo aver sofferto indicibilmente nel corpo e nell’anima, nell’intelligenza e nel sentimento»,si rivolge con queste parole: «Ci vorranno secoli per dimenticare gli orrori di quest’epoca! In piena cristianità, sulla nostra carne cristiana, dei cristiani hanno ripristinato e accresciuto il documentario della ferocia. E questo nostro mondo moderno, orgoglioso di sé, fino al disprezzo di tutto, lasciò fare senza inorridire. … No, la nostra generazione non riuscirà a lavarsi dal peccato di aver lasciato consumare tali orrori contro l’uomo, rinnovando in maniera perfetta la Passione del Figlio dell’Uomo. “È la guerra”, mi direte. E allora io vi dico: se questa è la guerra, se la guerra può imbestialirci a tal segno, chi domani parlerà ancora di guerra, chi ci organizzerà per la guerra – per qualsiasi guerra – dovrà essere messo al bando dell’umanità».
Leggendo queste parole, che racchiudono un giudizio profetico di un’attualità drammatica e disarmante, di fronte al ritorno delle armi in Europa, paralizzati dalla minaccia nucleare, don Primo Mazzolari ci sprona: e noi cristiani che cosa possiamo dire? Che cosa possiamo fare?