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N.41 Maggio/Giugno 2023

SOCIETÀ

Spazio ai giovani. Adesso!

La riflessione di don Bruno Bignami, direttore dell'Ufficio per i problemi sociali e il lavoro della Cei: dati drammatici, ma ci sono germogli (come il progetto Policoro) di un altro futuro, fatto di impegno e di sogni che diventano azione

L’Italia non è un Paese per giovani, parafrasando un celebre romanzo e film. Di questi tempi, quando si invoca «spazio ai giovani», è come se mettessimo in bocca ai mammut: «Spazio agli elefanti!». I dati sembrano una congiura. I giovani sono l’ultima ruota del carro sociale. Nascere in questo momento in Italia significa caricarsi di pesi non indifferenti. Di recente, l’Istat ha decretato la drammatica condizione dei neet (Not in Education, Employment or Training, sono i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non sono inseriti in un percorso di formazione), che hanno raggiunto il 29%, con un record negativo italiano in Europa da far rabbrividire. E preoccupano anche altri dati: l’abbandono scolastico che supera il 10%, il consolidamento del precariato e i bassi salari che per il 28% dei giovani è sotto i 9 euro netti l’ora.

Sempre più diseguali, sempre più rassegnati. Come cantano i Pinguini Tattici Nucleari, «l’Italia è tutta qui: un Paese di vecchi difetti che fan pace con sensi di colpa giovani».

Non stupisce se molti acquistano un biglietto di sola andata per altri lidi!

La Chiesa italiana aveva intuito dal 1995, con il Convegno di Palermo, la pericolosa china che il Paese stava prendendo. Per promuovere il protagonismo dei giovani, per accompagnare la nascita di nuove imprese, per far crescere la cultura d’impresa e per formare all’impegno sociopolitico facendo tesoro della Dottrina sociale della Chiesa, si è investito nel Progetto Policoro. Il nome prende spunto dalla località della Basilicata dove tutto è iniziato. Da allora qualche centinaio di animatori di comunità hanno arricchito con la loro competenza sia le diocesi sia i territori. Grazie alla formazione ricevuta, sono nati gesti concreti (attività economiche, cooperative, imprese…), si sono rinnovate le pastorali (sociale, caritativa e giovanile), sono nate vocazioni religiose, politiche, sociali ed economiche. Dove l’animatore di comunità ha fatto da lievito, la pasta è cresciuta. E si è creata una biodiversità di forme di impegno. La soluzione non è scappare dal proprio territorio, ma fare in modo che la presenza dei giovani faccia la differenza. Possano diventare segni di speranza!

«Più che parlare di loro,
occorre fare qualcosa
insieme a loro»

Come coltivare la speranza? Tra i tanti, un sentiero efficace è la condivisione. Educa alla responsabilità. Più che parlare di loro, occorre fare qualcosa insieme a loro, dedicare tempo, far fiorire i loro talenti nella storia vocazionale. Si tratta di volerli protagonisti e gioire per questo.

Finché il mondo adulto non dismette le vesti dell’eterna adolescenza (sindrome da Peter Pan) e non calza le scarpe per camminare insieme ai giovani, facendo gustare loro la soddisfazione di raggiungere traguardi passo dopo passo, potremo solo chiamarci generazione k(iller). Altro che baby boomer, X o altro! L’attuale degenerazione spegne sul nascere ogni entusiasmo. Al contrario, abbiamo bisogno di essere generativi.

È bello che nel Messaggio per il 1° maggio, Festa dei Lavoratori, i Vescovi italiani abbiano chiesto alle diocesi di valorizzare «anche i beni della Chiesa con lo scopo di favorire opportunità lavorative per i giovani». La richiesta non suoni peregrina. In diverse diocesi, grazie al Progetto Policoro, ciò è avvenuto ed è stata una rigenerazione per il territorio e per la comunità cristiana. Quando la Chiesa osa nella condivisione, i risultati vanno sempre al di là di ogni più rosea aspettativa. Si realizza un «effetto domino» moltiplicativo di bene. Ne guadagnano la vita dei giovani, che si sentono valorizzati; i beni ecclesiastici che non rimangono a riposo; il futuro del tessuto sociale e la fiducia reciproca.

Questi germogli di novità, come rondini, annunciano una nuova primavera. Giovani impegnati nel mondo del volontariato, del sociale, delle Caritas, del lavoro, dell’economia e della politica: non è già questa una visione di futuro? Con un «ciaone» alla pastorale impegnata solo nel gioco, nel divertimento e nell’animazione da villaggio turistico. I giovani meritano molto di più, come ha insegnato don Lorenzo Milani, nato cento anni fa di questi giorni.

Dunque, spazio ai sogni!