strappi
N.62 settembre 2025
Ritrovarsi in classe dopo le vacanze, tre mesi di vita in uno strappo

Lo strappo è un gesto netto, a volte necessario, a volte improvviso. Come quando si leva un cerotto e si cerca di non sentire dolore. Come quando si chiude un quaderno alla fine di giugno e lo si riapre a settembre e dentro ci sono ancora tutte le parole non dette, gli appunti lasciati a metà, i pensieri che non si sono mai fermati davvero.
Abbiamo provato a dare un nome a questo strappo. Lo abbiamo fatto in classe, i primi giorni di scuola, ripartendo dal ricordo di quell’ultimo di giorno, prima dei saluti. Un’indagine, ma anche una carezza. Una serie di domande, ma soprattutto un ascolto.
Cosa accade, dentro, quando la scuola finisce? E cosa succede quando ricomincia? L’ho chiesto ai ragazzi, lasciando spazio alle parole vere, a quelle che non si scrivono nei compiti in classe, ma che restano nella testa mentre guardi fuori dal finestrino dell’autobus. La verità, dicono, abita nei dettagli.
«Per me la fine della scuola è come togliersi uno zaino troppo pesante, ma quando torno a settembre, è come se avessi dimenticato come si fa a portarlo», ha detto Andrea.
«Io a luglio vado in montagna, respiro. Poi però torno e mi sembra di non sapere più chi fossi prima delle vacanze», ha scritto Chiara.
Sono frasi così, semplici. Eppure, dentro ci sono interi mondi. Perché lo strappo non è mai solo una questione di tempo. È un modo di vivere la pausa, di attraversarla.
E ognuno ci mette dentro quello che ha: sogni, paure, libertà, noia.
C’è chi vive l’estate come un volo. Chi conta i giorni per partire, chi torna in paesi lontani per rivedere i nonni, chi si perde tra città di mare e cieli infiniti. Ma c’è anche chi resta. E allora l’estate si allunga, si dilata, si fa vuota. Diventa attesa.
Ecco dove inizia la differenza: come si riempie il vuoto.
«Io non vado mai via e mi mancano i miei compagni. L’estate mi sembra infinita e non in senso bello», ha confidato Sara.
«A me piace stare a casa, fare cose lente, ma poi faccio fatica a tornare: mi sento come se non fossi più allenato a stare in classe, il ritmo è troppo veloce e vorrei solo stare a letto», ha detto Marco, sguardo basso, onesto.
Abbiamo capito che lo strappo non è uguale per tutti. Dipende da ciò che lasci e da ciò che ritrovi. Dipende da quante radici hai e da quante ali ti sei costruito. C’è chi lascia la scuola con un sospiro di sollievo, chi con le lacrime, chi senza voltarsi. E c’è chi torna con la voglia di rivedere gli amici, chi con il nodo in gola, chi con la paura di non essere più all’altezza di sé.
L’estate, per alcuni, è uno spazio di libertà. Per altri, è un silenzio che fa rumore. È lì che si decide tutto: nello spazio tra l’ultima campanella e un nuovo inizio; nel modo in cui lo si vive. Per questo non si può parlare di “ripresa della scuola” senza raccontare ciò che è successo nel mezzo.
Gli strappi sono visibili solo se si guarda da vicino. Sono nei cambiamenti sottili: un taglio di capelli, uno sguardo più serio, un silenzio nuovo. Alcuni ragazzi tornano con più consapevolezza, altri con più dubbi. Alcuni con la pelle abbronzata, altri con le stesse paure sotto la pelle.
E poi ci sono le amicizie. Quelle che resistono ai mesi lontani e quelle che si sfilacciano piano. «Pensavo di rivederlo in spiaggia, come ogni anno. Invece non ci siamo scritti più. Ora siamo in classe insieme, ma non è più come prima», ha confidato Elia. Gli strappi fanno anche questo: spostano le distanze tra le persone.
In classe abbiamo provato a raccogliere emozioni. Non tanto dati, non statistiche. Emozioni. Perché il ritorno a scuola è sempre anche un ritorno a sé stessi, ma spesso con nuove domande. Che ragazzo sono diventato? Cosa è cambiato in me? Cosa è rimasto uguale?
Ci sono ragazzi che hanno perso qualcosa durante l’estate. Qualcuno ha detto addio a un parente. Qualcuno ha scoperto che crescere vuol dire anche affrontare incertezze. Altri hanno trovato passioni nuove, cammini iniziati per caso. Tutto questo, lo zaino di settembre se lo porta dentro.
L’indagine, in fondo, ci ha insegnato una cosa semplice e bellissima: ogni strappo, se riconosciuto, può diventare cucitura. Se ascolti, se accogli, se nomini, il distacco non è più solo perdita. È spazio nuovo.
Ci sono insegnanti che sanno vedere questi strappi. Che non iniziano l’anno con «Bene, riprendiamo da pagina 12», ma con «Come state?».
Ci sono adulti che si ricordano che dietro ogni voto c’è una storia, che ogni silenzio ha il suo peso, che ogni diario può essere anche un diario di bordo, di un’estate passata a crescere, non solo a studiare.
L’estate finisce sempre troppo presto o troppo tardi, mai al momento giusto. È un tempo senza regole, e per questo, spesso, senza rete. Non tutti sanno usarla come occasione. Chi ha amici, viaggi, esperienze da vivere, torna con occhi pieni. Chi ha avuto solo assenza, torna con qualche pezzo in meno.
Forse serve insegnare anche questo: che ogni strappo può diventare tessuto nuovo, se condiviso. Che la scuola non deve solo ripartire: deve riprendersi le vite dei ragazzi, con attenzione e rispetto. Deve dare parole a ciò che i ragazzi hanno vissuto fuori. Deve essere luogo di continuità, ma anche di accoglienza del cambiamento.
Alla fine di questa indagine ho chiesto solo questo: scrivi una frase che ti rappresenta, oggi.
«Non sono più lo stesso dell’anno scorso, ma va bene così» .
«Mi sento un po’ fuori dal mondo, vorrei che qualcuno mi riportasse dentro».
«Vorrei che ogni rientro fosse come un abbraccio».
E allora sì, forse è questo che dobbiamo ricordare: che la scuola non è il contrario della vacanza. È il suo seguito, il suo riflesso, il suo racconto. È il luogo dove gli strappi si vedono meglio, ma anche dove, insieme, si possono rammendare.