parole

N.24 Ottobre 2021

PROFESSIONI

Xiao Feng, dalla Cina per unire: «Qui la mia lingua diventa libertà»

Abbiamo incontrato un'insegnante e mediatrice linguistica e culturale: «Ho lasciato la Cina dopo Tienanmen, ora ho due Paesi da amare» E il suo lavoro li rende più vicini

Quando Xiao Feng lascia la Cina, nel 1990, il suo Paese è in subbuglio. L’anno prima i tragici fatti di piazza Tienanmen avevano sconvolto il mondo. Nessuno pensava che il regime comunista avrebbe osato massacrare il suo stesso popolo e il coraggio di quelle migliaia di studenti che osarono sfidare il partito pacificamente viene ancora oggi ricordato come un momento di libertà e verità raro nella storia del continente asiatico. Xiao Feng, in tasca una laurea e molta paura, arriva in Italia, a Cremona. Non se n’è mai più andata. E questa è la sua storia.
«Ho lasciato la Cina subito dopo la laurea. All’epoca il clima era difficile, non c’era libertà di parola o di espressione e tantissimi cinesi fuggivano dal Paese. Era come vivere nel romanzo di Orwell “La Fattoria degli animali”. Dopo la laurea mi misi a lavorare per una ditta di mezzi agricoli che lavorava tra Cina e Italia. Una delle sedi era Cremona e così decisi di farmi trasferire. Quando arrivai qui scoprii che invece esisteva un modo diverso – libero – di vivere e rapportarsi con gli altri. Non conoscevo una sola parola di italiano, solo inglese e cinese ma a Cremona alcune maestre mi accolsero e pian piano mi insegnarono la lingua. Così ho iniziato a fare dell’uso della lingua e delle parole il mio mestiere. Ho iniziato vincendo un concorso dell’allora Provincia e lavorando per il Comune di Cremona insieme ad altri mediatori di cultura araba, albanese e cinese».

Mediatrice culturale, interprete, insegnante madre lingua, mediatrice linguistica: sono tante le declinazioni del lavoro di Xiao Feng oggi. Perfettamente inserita nel contesto cittadino, la brillante docente è al servizio della Prefettura, dell’ospedale, del Liceo linguistico “D. Manin” e di qualunque ente, associazione o impresa abbia bisogno di qualcuno che conosca bene il cinese.
«Il mio è un lavoro entusiasmante, sono felice di poterlo fare perché con la conoscenza di diverse lingue posso aiutare concretamente la gente. Sono principalmente una insegnante di lingua cinese nelle scuole. Al liceo linguistico faccio la lettrice madre-lingua e sono contenta di poter insegnare a ragazzi che sono curiosi, che hanno voglia di imparare e di confrontarsi con una cultura nuova. Per me è bellissimo vedere quest’apertura nei giovani! Se penso che vengo da un posto dove la libertà di espressione a volte è limitata, dove i social sono controllati e le parole sgradite vengono censurate… qui invece la parola, se ben usata, diventa cultura e dunque libertà».

«La nostra lingua è straordinaria,
fatta di simboli concreti
che riportano sempre alla realtà»

Certo, ammette, bisogna intendersi sul concetto di libertà che non è solo far quello che si vuole ma è poter affermare con dignità il proprio posto nel mondo.
«Con questo non voglio dire che sia tutto bello in Italia e tutto brutto in Cina, anzi. Amo profondamente entrambi i Paesi. Ma ho scelto di rimanere qui per mettermi al servizio sia del popolo cinese sia di quello italiano».

Racconta di essere iscritta alla Camera di commercio con la qualifica di traduttrice. «In questo caso il mio compito è proprio quello di far dialogare tra loro al meglio possibile due parti che altrimenti non potrebbero comunicare. Ma svolgo anche attività di mediazione culturale e linguistica perché l’enorme afflusso di cinesi degli ultimi anni rende molto richieste figure come le nostre: non è affatto facile per un cinese che arriva in Europa integrarsi e doversi confrontare con un linguaggio (verbale e non verbale) e con una cultura e una società così profondamente diversa da quella d’origine. Spesso chi arriva qui non sa a chi rivolgersi o non ha i mezzi per pagare un interprete. Eppure ci sono ogni giorno circostanze che richiedono un dialogo. Pensate all’ospedale. Se uno non sta bene o se una donna cinese è incinta dovrà recarsi in ospedale ma l’approccio dei medici italiani è spesso frainteso. Qualche esempio? Spesso devo aiutare i cinesi a capire che se un medico fa tante domande delicate sulla salute pregressa non è per ingerenza nella vita privata, ma per poter fornire un quadro clinico adeguato. I cinesi invece sono molto riservati, pensano che dietro ci sia altro. Oppure devo spiegare ai medici italiani che se un cinese insiste molto per avere le ecografie a colori non è per capriccio, ma perché in Cina gli ospedali lasciano credere alla gente che le ecografie siano tutte così (in questo modo l’utente le paga di più): così “medio” raccontando al personale ospedaliero italiano da dove ha origine quell’insistenza e al paziente cinese spiego che le ecografie in bianco e nero sono del tutto equivalenti oltre che molto meno costose».

Non le chiediamo della pandemia, della diffidenza di molti occidentali nei confronti dell’attuale presidente cinese, nessuna analisi politica. Non ne parlerebbe volentieri. Ma lo sguardo si illumina quando le chiediamo quale sia la parte più bella del suo mestiere.

Il cinese, dice con orgoglio, è di una ricchezza unica: «Insegnarlo per me è un onore perché è un accompagnamento alla scoperta. La nostra lingua è straordinaria, fatta di simboli concreti che riportano sempre alla realtà. Pensate alla parola “buono”: è creata dal simbolo della mamma e da quello del bambino. Perché la maternità è una cosa grande e bella e dunque per noi significa “buono, bello”. Non è meraviglioso?».

Lo è, Xiao Feng. Lo è.