fede
N.48 marzo 2024
La democrazia sfiduciata può rinascere solo dalla compassione
Una riflessione alle porte di una nuova campagna elettorale, sullo stato di una democrazia che soffre la perdita di fiducia e chiede di ripartire dallo sguardo sul bene dell'altro
Il lupo d’Alaska,raccontato da Pennac in L’occhio del lupo, mi pare la metafora dell’uomo sfiduciato. Ha vissuto dolori, sperimentato la paura, scelto la diffidenza e l’indifferenza. Ha quindi deciso di chiudere un occhio per limitare la vastità e la profondità della visione.
Nell’epoca odierna che oscilla tra atteggiamenti prometeici e narcisistici, viviamo, come quel lupo, l’erosione costante di legami sociali. Ansia, frustrazione, aggressività, fobie di varia natura inducono a vivere il presente come affanno, il futuro come minaccia, il passato come rimozione.
La paura, quella sorta di tristitia che diminuisce la forza vitale e induce a chiudersi in un porto sicuro, invita alla prudenza, ma può degenerare in disperazione. Abbiamo sperimentato i suoi molteplici volti durante la drammatica esperienza del Covid. La stretta di mano, gesto di apertura e di solidale condivisione, era impossibile; rinchiusi in casa si igienizzava qualsiasi cose venisse dall’esterno; si guardava all’altro come un possibile untore. La sindrome del nemico generava l’ipotesi dell’esistenza di un genio maligno che complottasse per ridurre tutti in schiavitù. La privazione dei diritti in nome della sicurezza richiamava alla memoria quel comitato di salute pubblica che governava col terrore. Nel contempo la presenza del comune nemico rendeva evidente quanta importanza rivestissero gli umani legami. Egoismo e individualismo dovevano lasciare il posto ad una umana catena di solidarietà. La parola più usata e più abusata era “insieme”.
Scampato il pericolo e contenti di essere ancora vivi in breve tempo abbiamo rimosso e ciascuno è tornato a vivere nella diffidenza e indifferenza verso il bene comune. Quell’insieme che implicava fiducia reciproca viene prontamente dimenticato.
Un celato stato di guerra
avvelena le relazioni
non solo nel quotidiano,
ritmato da invidie, rabbie, risentimenti,
ma anche nel dibattito pubblico
che trasforma l’avversario in nemico
Nel diritto romano, la fiducia è definita come un contratto con cui si dà qualcosa a una persona perché la restituisca. Tale principio fonda il patto che dà origine allo stato liberal-democratico. Ciascuno aliena la propria libertà, ovvero i personali diritti, nell’altro perché gli vengano restituiti in pace. Quando però il patto fiduciario viene meno la democrazia illanguidisce. Democrazia e fiducia sono un binomio indissolubile tanto che la seconda costituisce un importante indicatore dello stato di salute della prima.
Il fatto che il 50% degli italiani (e non solo) abbia rinunciato al patto fiduciario con l’astensione dal voto rivela che la democrazia vive un momento di fragilità. La convinzione del homo hominis lupus prende il sopravvento sulla reciproca benevolenza e corrompe la coscienza comunitaria. Un celato stato di guerra avvelena le relazioni non solo nel quotidiano, ritmato da invidie, rabbie, risentimenti, ma anche nel dibattito pubblico che trasforma l’avversario in nemico. Gli stessi rapporti economici e lavorativi pagano un caro prezzo alla diffusa mancanza di fiducia.
Molte ne sono le ragioni: corruzione, malaffare, tradimenti, incompetenze, abusi di potere, manipolazione dei fatti, promesse disattese sono fatti noti e incontestabili. La realtà delle persone e di ciò che ad esse si riconduce è stata ignorata.
La compassione può sanare le ferite
e convincere che vale la pena di fidarsi
perché dall’altro viene il bene
Meno note sono le azioni di donne e uomini onesti, leali, rispettosi della verità che mostrano quanto il bene comune sia superiore a qualsiasi interesse di parte. Spesso non riusciamo nemmeno a vederli. Per una visone più completa urge il recupero di un atteggiamento di fiducia. Un primo passo potrebbe consistere nel prestare attenzione, disporci in modo da mettere a fuoco la qualità di valore di cose e situazioni, nel coltivare la capacità di sentire la realtà. Il vedere del cuore indurrebbe a guardare il barbone steso su un marciapiede, il bambino smarrito di fronte alla casa bombardata, la mamma in ricerca disperata di cibo per i suoi figli, a sostare con loro, a desiderare profondamente il loro bene e ad assumersi la responsabilità di concretizzarlo.
Nella favola di Pennac il lupo trova il coraggio di riaprire l’occhio chiuso grazie allo sguardo di un ragazzo nella condivisione di una comune storia e di un comune destino.
La compassione, volto della umana benevolenza, del rispetto dovuto a ciascuno in nome della sua dignità, può sanare le ferite e convincere che vale la pena di fidarsi perché dall’altro viene il bene. Non so se ne saremo capaci; non so se il nostro cuore sia diventato di pietra. Sono certa però che solo uomini e politici compassionevoli possano ridare vigore all’ideale democratico di giustizia.