viaggio

N.32 Giugno-Luglio 2022

PERSONE

Dai trip al viaggio per rinascere: «Nessuno è irrecuperabile»

Giampaolo racconta la sua storia: la dipendenza dall'eroina, l'amore che salva, la fatica del riscatto, l'impegno per chi oggi vive la stessa prigionia. perché lui sa che «ai traguardi si arriva insieme»

«All’inizio provi piacere. Poi realizzi di essere diventato dipendente: se non ti fai, stai male. Ma non lo ammetti, finché non ti rendi conto di essere andato oltre. Allora provi a smettere, ma non ce la fai. Poi ti arrendi, non ci provi nemmeno più».
Giampaolo conta quei vent’anni sulla punta delle dita. Seduto su una panchina ombreggiata, ripercorre il viaggio che a lungo l’ha portato lontano da se stesso, dagli affetti, dalla speranza di una vita diversa. Fino al momento di fare una scelta: lasciarsi trascinare via, o cambiare strada.
«La droga non cambia ciò che sei, ma ciò che è attorno a te». Si guarda le mani, mentre la mente fa un salto indietro di cinquant’anni.
«Io faccio parte della prima guardia, i ragazzi dei primi anni Settanta. Di quel gruppo siamo rimasti solo in tre o quattro. Avevamo i capelli lunghi, ascoltavamo la stessa musica, leggevamo le stesse cose». Kerouac, Corso, Ferlinghetti… Giampaolo cita i classici della beat generation, alimentata da musica nuova e voglia di superare confini, di cambiare il mondo e di viaggiare, anche solo con la mente.
«Assumendo certe sostanze si sapeva dove si poteva andare a finire», ammette. «Allen Ginsberg diceva: allarghiamo lo spettro del nostro sguardo. Le prime volte, soprattutto i trip lisergici, somigliavano ad uno spettacolo di luci. Cambiavano i suoni, i colori, le forme. Basta una piccola alterazione chimica per schiudere di fronte a te un mondo diverso, che toglie il velo alla realtà… O forse lo mette».
Una pausa di riflessione lo porta per un attimo lontano.
«Forse all’epoca c’era meno dipendenza, perché non c’era la distribuzione quotidiana che conosciamo oggi». Poi cambia il mercato e arrivano nuove sostanze, che s’infiltrano facilmente nelle reti della criminalità organizzata su varia scala e in breve lo scenario si stravolge completamente. «D’un tratto c’era tutto per tutti, tutti i giorni. Le prime erano esperienze, poi è diventato sballo. Senza desideri, senza cultura».
Mantenere un vizio di quel tipo era impegnativo, soprattutto per i giovani: «O hai soldi o spacci o vendi sesso o fai le rapine… Io ho avuto la fortuna di potermi mantenere. Mi ero trasferito a Padova per studiare Psicologia all’università. Lì ho incontrato l’eroina, e l’uso è diventato quotidiano. Ma nonostante i miei vizi m’interessava studiare, imparare. Forse una delle cose che mi hanno salvato è non aver mai perso gli interessi che mi facevano sentire vivo».
Più passa il tempo, meno è facile gestire la dipendenza. Si fa strada il pensiero di smettere, ma ad ogni passo corrisponde una dolorosa ricaduta nella spirale dell’astinenza, aggravata dall’ombra dell’HIV. «Circa vent’anni dopo le prime esperienze non ne potevo più. Mi sono detto: se io sono questo, non vedo l’ora di crepare».

«Basta una piccola alterazione chimica
per schiudere di fronte a te un mondo diverso,
che toglie il velo alla realtà… O forse lo mette»

Abbassa gli occhi, prende una busta di tabacco, arrotola una sigaretta, aspira un paio di boccate.
«Ho deciso di smettere perché non avevo più rispetto per me stesso. Il tossico si ricorda bene dei propri bisogni e dolori, ma non si accorge che sta facendo male ad un sacco di persone attorno a sé. È come un incidente d’auto: è assurdo pensare che solo le persone sulla strada siano rimaste coinvolte».
Un’altra voluta di fumo sfugge tra i denti e si dissolve nell’aria.
«Poi ho incontrato un’altra volta l’amore, che credo possa essere un bell’antidoto», aggiunge lasciandosi sfuggire un sorriso. «Su insistenza della mia seconda moglie ho accettato d’incontrare un frate che gestiva progetti di recupero per tossicodipendenti. E questo frate mi ha fregato! – ride – Mi ha salvato. Padre Francesco Zambotti è una persona straordinaria, quelle di cui vorresti fosse popolato il mondo». Con lui Giampaolo trascorre diciotto mesi in una cascina fuori città, dove il lavoro condiviso, la fiducia di chi lo circonda e la forza di volontà tracciano la via d’uscita.
«È stata dura, ma se non fossi riuscito a smettere non sarei tornato a casa. Sarei sparito, probabilmente sarei morto da qualche parte».
Serra le labbra, fissando le cuciture dei jeans.
«Prima di entrare in comunità avevo ritirato il mio fascicolo sanitario presso quello che all’epoca era il servizio di recupero tossicodipendenze. Sulla cartellina c’era scritto a grandi lettere “irrecuperabile”. Mi è venuto da ridere: nessuna persona è irrecuperabile».
Lì inizia il suo secondo viaggio, quello al servizio degli altri.

«Sono un sopravvissuto – si tocca il petto – fare qualcosa è stato un obbligo morale». Giampaolo ha istituito la prima unità mobile per la distribuzione di siringhe sterili, poi trasformata nel più noto drop-in, ora in capo a enti e servizi sanitari. Successivamente si attiva per istituire gruppi di mutuo aiuto per persone affette da HIV: «Ne abbiamo avviati una quarantina in tutta Italia – spiega – metà di questi sono diventati associazioni, e continuano a vivere. Da venticinque anni sono il loro portavoce al Ministero della Salute, nella Commissione Nazionale per la lotta contro l’Aids». Con una punta d’orgoglio mostra la t-shirt che indossa, ricevuta nell’ambito di un progetto finanziato dalla Comunità Europea. Oggi la sua storia e le sue parole sono la guida per chi vive la stessa situazione. «Ci ho messo vent’anni a ripulirmi», chiosa. «La mia esperienza è una carta da giocare per aiutare gli altri. Creare un rapporto di fiducia è fondamentale per essere ascoltati. Le motivazioni che ti spingono al “viaggio” sono estremamente personali: ognuno ha la propria storia, devi conoscerlo e farti conoscere, mettere sul tavolo le tue sofferenze per accogliere le loro. Con la massima comprensione e il minimo giudizio. Ai traguardi si arriva insieme, anche quando capita di smarrire la strada… E con tutte e volte in cui mi son perso, pensa quante soddisfazioni nel ritrovarmi».