viaggio

N.32 Giugno-Luglio 2022

PELLEGRINAGGI

Sulla strada del Mistero dove un imprevisto è la sola speranza

Il racconto di un cammino verso Czestochowa con una tenda, un gruppo di amici: «Dovevamo arrivare ai suoi piedi, e consegnarle tutti i dolori, i dubbi e le paure che agitano il cuore a 18 come a 24 anni»

L'icona della Vergine Nera di Czestochowa / wikipedia.org

N

di Maria Acqua Simi

ella mia cameretta di adolescente, oggi semi-abbandonata – i muri raccontano di un amore non ricambiato per Leonardo Di Caprio (a 14 anni), della passione per il Milan e Valentino Rossi, qualche timido accenno di cultura con riproduzioni di Monet e Toulouse-Lautrec e una miriade di cartoline e foto con gli amici. Sopra la scrivania, tre citazioni. Una in realtà è il testo integrale di “Lui, lui, lui” di Mina che io e la mia amica Irene – oggi monaca a Vitorchiano – cantavamo a squarciagola mentre con la sua storica Marbella rossa correvamo verso l’Anguissola per l’esame di maturità. Le altre due sono una poesia di Montale e un versetto del Salmo 83.

“E ora che ne sarà del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
senza saperne nulla.
Un imprevisto è la sola speranza.
Ma mi dicono ch’è una stoltezza dirselo”
(Eugenio Montale, “Prima del viaggio)

“Beato chi trova in Te la sua forza
e decide nel suo cuore il santo viaggio”
(Salmo 83)

Le ho impresse nella memoria e le ho sempre portate con me, in ogni viaggio che ho fatto. Ho viaggiato tanto, in questi 37 anni di vita: Libano, Iraq, Siria, Lituania, Turchia, Sudafrica… Ma il viaggio che ha messo a nudo il mio cuore è stato un pellegrinaggio. Parliamo di dieci anni fa. Io e i miei amici – in procinto di laurearci – partiamo insieme ad altri 800 studenti (maturandi e laureandi) per la Polonia. Partenza da Milano, arrivo a Cracovia e da lì, a piedi per 15 giorni, verso il santuario della Madonna Nera di Czestochowa. Sulla collina di Jasna Gora si erge una grande chiesa dove è custodita questa icona bizantina della Vergine, che secondo la tradizione sarebbe stata dipinta da San Luca. Nel 1430, durante le guerre degli Ussiti, l’icona venne trafugata e profanata a colpi d’ascia: quei colpi provocarono un sanguinamento miracoloso, e ancora oggi sono visibili. Nei secoli divenne per i polacchi il simbolo della resistenza alle dominazioni straniere ed è a Lei che tutto il movimento di Solidarnosc – nei primissimi anni Ottanta – si affidò per combattere l’Unione Sovietica.
Come nella poesia di Montale, io e le mie amiche partimmo pensando ad ogni minimo dettaglio: la tenda dove avremmo dormito in cinque, zaino capiente, scatolette e cibarie varie, fornelletto a gas, piccolo kit di pronto soccorso, aghi per le vesciche, cerotti, creme solari. Più che per un pellegrinaggio sembrava dovessimo lasciare il mondo civilizzato per sempre. In mano un rosario, che sarebbe stato nostro fedele compagno per decine di chilometri ogni giorno. Non sapevamo, allora che l’asfalto riflettendo il sole può ustionare le gambe; che usare i campi come bagni espone al rischio di zecche, che stare in silenzio (per davvero) è la cosa più difficile del mondo. Ma guidati da un sacerdote spagnolo, tenendo il passo fermo e con lo sguardo dritto a chi metteva i piedi davanti ai nostri, siamo partiti. E ad ogni chilometro, le chiacchiere diventavano mano a mano più superflue. Il silenzio lasciava spazio ai pensieri e i pensieri al dialogo con il Mistero. Le preghiere e i canti – oh quanto abbiamo cantato durante il cammino – erano una compagnia necessaria, così come chi camminava accanto a noi.

Imparammo,
in quelle settimane,
a seguire chi ci guidava
e ci indicava la strada

Ricordo un giorno, sarà stato circa a metà del pellegrinaggio, in cui iniziò a piovere a dirotto. Alle ragazze più piccole venne offerta la possibilità di dormire in una scuola chiusa per le vacanze estive, ma noi rimanemmo tagliate fuori. Pioveva, la tenda era zuppa e la mattina trovammo pure una simpatica colonia di formiche nel sacco a pelo.
Quello che solo una settimana prima mi sarebbe sembrato un colpo di sfiga clamoroso, d’improvviso mi sembrò una occasione da non sprecare. Con le mie compagne di tenda (tanta ironia e molta amicizia) decidemmo di offrire quella fatica per dei nostri amici appena sposati che non riuscivano ad avere figli. E da lì in poi ogni gesto iniziò ad assumere un significato più grande per noi.
La vescica sul tallone che fa quasi bestemmiare diventava preghiera; i bagni introvabili un’occasione di dialogo con la popolazione polacca (quelle case sempre aperte per noi pellegrini non le dimenticherò mai). Chiedevamo a Dio di concederci una buona laurea, di trovare un lavoro che ci piacesse e – il Cielo lo volesse –magari anche un moroso… La stanchezza era devastante, ma continuavamo perché sapevamo che ad attenderci c’era la Madonna e che Lei avrebbe fatto da tramite per noi. Dovevamo arrivare ai suoi piedi, e consegnarle tutti i dolori, i dubbi e le paure che agitano il cuore a 18 come a 24 anni.
Imparammo, in quelle settimane, a seguire chi ci guidava e ci indicava la strada. Che c’è un tempo per il riposo e uno per l’azione, uno per il dialogo e uno in cui tacere, che lo zaino lo si può cedere quando si è al limite o ci si può far carico di quello dell’altro, che una bottiglietta di acqua può essere divisa in due ma anche in tre o quattro e che è nella condivisione che uno scopre veramente quanto è profondo il suo cuore.

Arrivammo a Czestochowa il 15 d’agosto, Festa dell’Assunta. Nella piccola cappella, tra infiniti ex voto, ecco la Madonna Nera. Intorno all’altare un percorso in pietra – rigorosamente da fare in ginocchio – costituiva la “prova” della devozione totale alla Vergine. E noi – bruciacchiati dal sole, affamati e costipati – ci mettemmo in ginocchio e iniziammo a percorrerlo tutto. In silenzio. Una infinita catena umana di giovani inginocchiati ad affidare la propria vita. Un gesto così potente che in chiesa molti dei fedeli polacchi presenti si misero a piangere. E noi con loro. Sapevamo cosa significava quella Vergine per la loro storia ma da quel momento avrebbe rappresentato un approdo sicuro anche per ciascuno di noi.
Eccolo, l’imprevisto che è la sola speranza. Eccolo il santo viaggio.