tappe

N.52 Settembre 2024

rubrica

The Jazz Singer, Mtv, John Cage, Beatles e Spotify… l’evoluzione della musica nei suoi punti di non ritorno

I momenti in cui la storia musicale ha trovato punti di non ritorno e creando spazi d’arte nuova o chiudendo strade non più percorribili

Parlare di percorsi a tappe quando si tratta di musica non è facile, non tanto perché il linguaggio dei suoni è fatto di emotività, quanto perché gli avvenimenti musicali accadono l’uno vicino all’altro e ognuno trova gli snodi che più lo interessano. La storia ci insegna che vi sono in un dato periodo tante convivenze più o meno permeabili, ognuna con la sua carica di creatività e fantasia. Tuttavia, anche semplificando un po’, si possono individuare momenti simbolici, dove la storia musicale ha trovato punti di non ritorno e ha creato grandi spazi d’arte nuova o cadute di senso di strade diventate non più percorribili. Cambia il linguaggio, mentre resta al fondo la necessità che vi sia arte nella vita quotidiana. 

6 ottobre 1927: il film The Jazz Singer, diretto da Alan Crosland, apre l’era del cinema sonoro. La Warner Brothers porta per la prima volta sullo schermo un film parlato.

In realtà il dialogo contenuto nel film non supera neanche un minuto ma tanto basta per dare al film questo storico primato. Dopo tanti tentativi, finalmente il cinema definisce il suo armamentario tecnico. Da qui in poi quello che sembrava un passatempo per borghesi snob diventa materiale plastico nelle mani di artisti dell’immagine e dei suoni. Probabilmente pochi se ne rendono conto, ma il cinema è l’erede attuale del teatro e del melodramma, rispetto ai quali differisce semplicemente dal punto di vista tecnico-visivo. Infatti, è arte a tutti gli effetti: è interpretazione della realtà in veste di oggetto estetico, per la quale la musica ha trovato melodie, suoni e sfumature che sotto l’apparente semplicità ha creato autentici capolavori.

29 agosto 1952: prima esecuzione della composizione del musicista americano John Cage intitolata “4’33’’ – 22 ottobre 1961: prima esecuzione di Atmosphères, di György Ligeti, altro musicista contemporaneo elevato a caposcuola.

La prima è un’opera per pianoforte che consiste in 4 minuti e 33 secondi di… silenzio. Proprio così, il pianista resta immobile davanti alla tastiera fino a che non sia trascorsa la durata indicata. Il secondo è un brano in cui le note diventano grumi inestricabili, linee confuse in cui non vi è melodia, armonia o ritmo, tutto sembra sospeso in un divenire atemporale, in fruscìo indistinto. Per il primo si è parlato di valore dei suoni della natura (che si odono appunto durante il silenzio), di valore filosofico del tempo quale contenitore di possibili musiche e tanto altro.

Del secondo si osanna il materico sonoro, il flusso temporale, il colore del tempo. In realtà nel primo caso è evidente l’afasia del compositore che non ha più nulla da dire nel campo della musica classica e non trova più modi di combinare note nel momento in cui privilegia il proprio super-ego pensante e non il povero ascoltatore. Nel secondo è la musica che si riduce a poltiglia incolore, a evento incomprensibile capace di suscitare solo angoscia e dubbi. Diciamo pure che la grande narrazione beethoveniana passata per i Schumann, i Brahms, Schönberg, Mahler, ecc. si è esaurita nell’incomunicabilità/iper-complessità d’autore; oltre non si va, come ben dimostra il pubblico che diserta questo filone da tempo.

22 marzo 1963: nel Regno Unito la Parlophone pubblicava il Long Playng dei Beatles “Please please me”, dando inizio alla scalata al successo dei Fab Four. Un album che ha rivoluzionato il mercato discografico e lanciato la Beatlemania.

Qual era la novità? Perché la musica colta andava perdendosi nonostante avesse falangi di intellettuali a dare spiegazioni su spiegazioni? Come mai quattro ragazzetti, che neppure avevano studiato musica sul serio, diventano rivelatori di un nuovo modo di fare arte? Probabilmente la storia stava voltando pagina senza dire niente a nessuno: in un momento di esplosione della comunicazione, di democratizzazione della cultura, di allargamento del benessere collettivo, di velocizzazione dei ritmi collettivi, ecco che una forma artistica breve, semplice, capace di “raccontare” ciò che l’uomo comune viveva, che si configurava come bello estetico alla portata di tutti, la canzone dico, si poneva come la forma più adatta al suo tempo: 16 battute, sempre con strofa ritornello/strofa/ritornello, niente di che, uguale da più di 70 anni. Eppure, lì dentro sono stati creati capolavori di riflessione e di espressività che solo un passatista con il paraocchi può considerare banali. I geni non sono solo i Bach, i Mozart, ci sono anche nella nostra epoca.

1962: prima affermazione internazionale della registrazione dei Concerti brandeburghesi di J.S. Bach eseguito dal Concentus Musics Wien diretto da Nikolaus Harnoncourt. É uno dei momenti in cui la cosiddetta musica antica – ossia l’esecuzione di brani anteriori a Mozart secondo un’ottica di ricostruzione storicamente informata – si diffonde un po’ ovunque.

Il fenomeno era partito da lontano, ma ora ha un allargamento vistoso nel pubblico e nei programmi di concerto. Ancora oggi vi sono Festival di Musica antica, accademie, corsi, anche in posti sperduti, purché abbiano la suggestione della location anticata e l’impressione di tornare indietro nel tempo. Il perché è presto detto: la musica antica è, come la canzone, facile da ascoltare, da suonare, non ha nevrosi, non ha bisogno di preparazione o di spiegazioni, non ha neppure bisogno di un direttore, il pubblico si immedesima con semplicità in melodie che gli cantano facili nell’orecchio e si ha anche l’impressione di alta cultura. In realtà era ed è musica da intrattenimento; è ancora il semplice e colloquiale artistico che la frenesia dell’oggi chiama a lenire le complicazioni del vivere.

1981: nasce MTV; si fa largo la nozione di televisione musicale con canali interamente dedicati alla musica. La diffusione del televisore nelle case di tutti porta questo mezzo a diventare una delle vie principali di ascolto della musica d’oggi e il canale promozionale prediletto dalle case discografiche. Ed ecco che nasce una nuova forma d’arte: Il videoclip, ovvero l’esperienza musicale al quadrato. Un’epoca non può inventarsi forme d’arte nuove?

2008: viene fondata in Svezia Spotify, una piattaforma musicale accessibile da qualsiasi dispositivo. 2016: è lanciato musical.ly poi noto come TikTok, social network centrato sull’istantaneità del contenuto che dura una manciata di secondi. 2022: si introduce l’Intelligenza artificiale nella musica… tutto si evolve con velocità impressionante….

Cosa succederà alla musica? Proviamo a immaginare: l’ascolto verrà personalizzato, la critica non esisterà più, scomparirà l’evento dal vivo, i linguaggi folk/etnici spariranno sotto i colpi di una koiné musicale dominante (c’è qualcuno che non si è accorto che siamo sotto il dominio della musica anglosassone?), il vero non sarà né necessario né verificabile, i tempi saranno compressi e i messaggi ridotti a “ti dico tutto in pochi attimi”. Eppure, l’arte e i geni ci saranno sempre.