luce
N.16 Dicembre 2020
Quale luce in fondo alla crisi?
Siamo nella crisi peggiore dalla Grande Depressione. Il peggio non è passato ma c'è un barlume di speranza se sapremo coglierne i segni
La diffusione del Covid-19 ha fatto sprofondare l’economia mondiale in una crisi molto profonda. Tutti i settori economici sono stati coinvolti. Alcuni immediatamente, come quelli della ristorazione o artistici. Altri ne sono stati toccati solo in parte, ma ne avvertiranno gli effetti nei prossimi mesi quando ci si attende un crollo dei consumi. Da crisi del lato dell’offerta, quella attuale si è trasformata in crisi di domanda a causa del crollo dei redditi, e la perdita di migliaia di posti di lavoro. Paura, incertezza paralizzano lavoro e consumi, e anche quando questa situazione passerà la ripresa sarà lenta.
Guardando ad altre crisi del passato, l’attuale pare peggiore di quella del 2008. Rispetto al 2008, la perdita del PIL è stata tre volte maggiore. Sembra meno grave della Grande Depressione degli anni ’30, dove il calo della produzione è stato sostenuto per un periodo di tre o quattro anni, e il tasso di disoccupazione è salito al 25% negli Stati Uniti. Questa volta finora è salito solo al 13% negli Stati Uniti, ma fare paragoni sembra difficile a causa delle diverse strutture produttive. Sicuramente l’attuale è la peggiore recessione che abbiamo avuto a livello globale dagli anni ’30. Aprile-giugno 2020 è stato il peggior trimestre di sempre per le economie occidentali. Il PIL dell’Eurozona si è contratto più di quello americano. Ciò che differenzia l’attuale crisi dalle precedenti è anche la sua brevità. Pochi mesi, rispetto a quelle pluriennali del 2008 o del ’29.
Nello stesso trimestre, il nostro paese è riuscito a contenere il calo a un -12,4 per cento. Già prima del Covid, la crescita non era affatto invidiabile. Negli ultimi 25 anni, il nostro PIL è cresciuto sempre meno della media degli altri paesi europei. Anche in caso di ripartenza, l’economia nazionale sconta un minore traino a causa dei noti problemi strutturali, come l’eccessiva burocrazia, o l’elevato carico fiscale. Su questo pesano poi due fattori molto importanti, i cui effetti potranno essere stimati con maggiore precisione solo fra qualche periodo. Il primo è dato dal fatto che l’Italia è stato il primo paese ad essere colpito dal virus in misura così evidente: ciò ha imposto, prima che altrove, il lockdown e quindi la paralisi di gran parte del sistema produttivo; il secondo è dato invece dalla severità di queste misure, applicate per più tempo che altrove. Chi sottovaluta il lockdown, non considera che cosa sarebbe successo senza: un disastro sociale molto peggiore, oggi visibile in Brasile o in alcuni stati degli Stati Uniti.
Insomma, il peggio non è passato, ma si stimano i primi segnali della inversione di tendenza con l’introduzione del vaccino il prossimo anno.
Intanto però ci si interroga anche sulla appropriatezza ed efficacia delle misure economiche di aiuto e di rilancio introdotte dall’Unione Europea e del Governo italiano. C’è chi parla di ritardi o di inefficienze. La cassa integrazione in deroga – strumento necessario per assistere i lavoratori non coperti dalla cassa integrazione ordinaria – è arrivata tardi. Gli aiuti alle imprese sotto forma di garanzie intermediate dalle banche sono stati erogati in ritardo. È mancato un piano organico di sostegno al turismo, o una riorganizzazione dei trasporti pubblici. Nel complesso però le risorse nazionali ed europee stanziate sono maggiori che in altri paesi europei.
Rimane però l’esigenza di scegliere quali riforme attuare e in che ordine, in modo da beneficiare dei fondi europei anche nel 2021.
In una situazione così complessa e pessimistica, da dove possono arrivare i segnali per una ripresa? Da dove ripartire?
Per esempio, dall’alta tecnologia. Non solo spingendo gli acquisti online. Molte imprese stanno infatti accelerando la rivoluzione digitale, trasformando i processi produttivi e favorendo l’adozione dello smartworking tra i lavoratori.
Anche la sanità si sta informatizzando, sperimentando iniziative di telemedicina che fino a qualche tempo fa erano stati adottate solo in aree marginali dei paesi del Nord Europa. Segnali positivi potrebbero registrarsi anche nella edilizia abitativa, soprattutto nelle aree rurali. L’affermazione dello smartworking in settori terziari favorisce i lavoratori nella scelta della loro residenza e anche nelle preferenze di località più remote, magari più vicine ai loro paesi di origine.
Spostandosi dai grandi centri urbani, potrebbero cercare abitazioni nei piccoli paesi, occupando case in precedenza disabitate. L’urbanizzazione potrebbe ridursi e così gli spazi vuoti nei centri urbani potrebbero essere occupati, anziché da ulteriori case o parcheggi, da spazi verdi, magari orti, oppure giardini. Ne beneficerebbe la città che risulterebbe più bella e meno inquinata, ma anche la popolazione che vedrebbe quindi migliorata la propria qualità della vita. La pressione antropica sull’ambiente risulterebbe minore.
Foto dell’acqua più pulita di Venezia o i dati sul minore inquinamento di Milano nei mesi del lockdown hanno indotto la riflessione sulla importanza dell’ambiente e soprattutto sull’adozione di comportamenti, tecniche produttive meno impattanti, più verdi e orientate all’economia circolare.
E ancora la crescente importanza dei servizi, da quelli della comunicazione a quelli pubblici, dei dati, dello sviluppo e della ricerca, oltre che dei servizi digitali e dei beni intangibili.
E poi la convinzione che la globalizzazione abbia subito una battuta di arresto, a favore della ritrovata importanza delle comunità locali. Come reti sociali di assistenza e di mutuo aiuto, ma anche come generatore di aiuti e fonte di produzione di beni. Come km0 per le produzioni agricole e attivatore per la loro messa in circolo, anche grazie al volontariato, per ridurre gli sprechi di cibo e aiutare quelle famiglie che fanno fatica a mettere il pane in tavola tutti i giorni.
Oppure la riscoperta dei luoghi cari vicini alle nostre case o degli stessi vicini che magari, per la fretta o i troppi impegni, prima non consideravamo.
Nariman Behravesh e la teoria dell’alfabeto
Un noto economista iraniano, da anni negli Stati Uniti, Nariman Behravesh, spiega i possibili andamenti futuri dell’economia mondiale ricorrendo all’alfabeto. A partire da metà 2021, egli ipotizza che la produzione avvii una prima fase di recupero, tanto che il disegno del suo andamento possa essere sintetizzato da un V. I servizi, il settore più colpito, e in particolare quelli legati all’intrattenimento, la cultura, i viaggi, avranno una forma di recupero a forma di U. Se non ci sarà il vaccino o la campagna vaccinale ritarderà, allora l’economia seguirà un sentiero tracciato da una W con tempi molto più lunghi.