scuola

N.13 Settembre 2020

RUBRICA

Come (ci) cresce la scuola

La cultura è come un orto

in cui far crescere un pensiero, un’idea.
Emozioni che germogliano

perché innaffiate da parole,

l’acqua che la poesia e la letteratura

fanno scrosciare su menti e cuori

con una gran sete di sapere e di sapersi,

che è poi sete di vita.

Lo studio come specchio

dell’otium latino,

che ride davanti alla nostra

traduzione molle di procrastinazione

e che ci ricorda che il tempo

vissuto dentro la conoscenza

è tempo squisito,

da mangiare a morsi,

dolce come miele.
Di tutti i semi che geografia, storia, arte,

fisica, musica, letteratura, lingue

fanno cadere,

attecchiranno le semenze adatte

ad ogni cuore.

Come esperimenti di incroci

tra terreni e germogli,

dove l’esito è sempre un’alchimia

che merita di essere scoperta.

Il guscio del dovere

spesso avvolge la meraviglia

che avviene dietro i banchi.

Aule come momenti privilegiati.
Che l’incompetenza

non è una coccarda da appuntarsi al petto,

e l’ignoranza è apprezzabile

solo quando è socratica,

sfacciatamente in cerca di riscatto.
La bellezza delle sudate carte

che si impara con il tempo,

la digestione lenta del concetto

che di imparare non si ha mai finito.

Fin quando non ci appare chiaro

che studiare cose nuove,

ascoltare un punto di vista non scontato,

mettersi in discussione

è un regalo potente

e non un’imposizione opaca.
L’orgoglio della fatica, del sacrificio

e la lezione imprescindibile

del legame causa-effetto:

la legge delle conseguenze

di ciò che facciamo,

insegnata e imparata empiricamente

– non solo, ma soprattutto –

a scuola.

L’istruzione e il confronto

come un vaccino

all’arroganza onnisciente.

L’umiltà di riconoscere

che l’università della vita

non è il titolo

che ci rende competenti nel mondo;

al massimo tuttologi da bar.
Lo studio che inietta

il bacillo della pazienza,

del rispetto del tempo necessario a leggere,

assorbire, stratificare, ripetere.

Oggi immagini, notizie e informazioni

corrono veloci

come il movimento di un dito sullo schermo,

arrivando in dote

senza la possibilità di capire

cosa sia effettivamente vero

e cosa sia invece falso, artefatto.
La lettura della carta

ci impone ritmi

che non ricordiamo più,

frustranti nella loro cocciuta mole

e lentezza,

e per questo necessari all’analisi

di ciò che viene trasmesso al nostro cervello.

Per capire se ciò che ci raccontano

sia stato creato per manipolarci o

– sempre più raramente –

per permetterci di informarci,

farci un’opinione.

L’insostituibile verifica delle fonti.
La lettura abitua al pensiero critico:

un’idea va motivata, difesa

e nel caso anche cambiata.
Così lo studio, e la Scuola,

si fanno vaccino vero

alla manipolazione,

alle fake news,

allo strapotere di ideologie cupe e pericolose.

Anticorpo invincibile per la libertà,

figlia dell’indipendenza

del pensiero critico.

Un microcosmo brulicante

di relazioni e di confronto.
Vicini di banco

che diventano amici di una vita.

Famiglie allargate

con cui si condividono merende,

antipatie, litigi, sudore, vergogna,

sorrisi e confessioni.

Quando l’equazione

del tempo speso assieme

è 5 ore al giorno

x 6 giorni la settimana

x 9 mesi all’anno,

quelle frequentazioni diventano il metro

con cui ci si prendono le misure al mondo.
La scuola è croce e delizia

dei primi 15 anni

che spendiamo su questa terra,

esperienza umana

in bilico tra favola e incubo,

soprattutto nella finestra dell’adolescenza,

dove flettiamo i nostri muscoli

cercando di allenarci

per la partita che giocheremo

una volta tagliato il traguardo della maturità,

senza sapere ancora che la corsa

non finisce mai.

Proprio mai

Per capire chi siamo

e chi vogliamo essere.

Una rete che un po’ ci sconquassa

e un po’ ci filtra,

mentre ci scrolliamo di dosso

la crisalide di chi eravamo

e con la fatica della metamorfosi

andiamo incontro alla nostra potenza,

il nostro seme che rompe la terra

e fiorisce.
Lode a tutte le maestre e i professori

che sanno guardare

dentro i ragazzi,

oltre i voti,

e li sanno vedere,

annusandone i talenti

e aiutandoli a scoprirli, insieme.
Insegnanti che segnano la strada,

che regalano la chiave

di mondi meravigliosi.

Insegnanti che credono nei loro ragazzi

per aiutarli a farlo da soli

quando saranno grandi,

che danno il metodo alla vita

molto più che allo studio.

E non lo dovrebbe essere.
Non in base a dove si nasce,

se si è maschi o femmine,

di chi si è figli,

quanti soldi si hanno.
L’istruzione non può continuare

ad essere un bene da primo mondo dorato,

dove ci si permette anche di ignorarlo,

sminuirlo, abbandonarlo.
Forse oggi che il Covid

ci ha tolto l’ordinarietà della scuola

possiamo finalmente capirne l’importanza,

e quindi difenderla, proteggerla, amarla.

Nella sua condivisione,

nello scambio di cui l’essere umano

ha così bisogno,

nel sapere che trasmette

da testa a testa.
E lo dobbiamo fare tutti,

Stato in primis;

che poi,

ci piaccia o meno,

siamo sempre noi.