mode
N.08 Febbraio 2020
Non arte dell’effimero ma traccia del mondo
Quando, nel settembre del 1986, entrai nel nostro Seminario un parroco di Cremona con stupore presentò alla sua comunità il fatto dicendo: “pensate, quest’anno è entrato in Seminario anche un vetrinista”! Personalmente lessi il suo dire solo dal punto di vista lessicale, precisando che un conto è un vetrinista (cioè chi si occupa di allestire le vetrine); un conto è uno stilista, un figurinista, un modellista: chi crea uno stile, lo concretizza in un’idea e gli dà corpo attraverso un’architettura.
Se è vero che tutte queste professioni finiscono per “ista”, altra è la sostanza: unicuique suum!
Spesso, nel corso degli anni, mi sono coinvolto in discussioni riguardo la Moda, rivendicando parentela di essa con l’arte, la geografia e la sociologia. Ero patetico ma sceglievo di correre questo rischio perché non mi garbava che la moda, intesa nel senso più lato, fosse ridotta a battute banali o a convinzioni stereotipate.
La riscossa dei vinti l’assaporai quando, nei primi mesi del 2000, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, fu allestita in Castel Sant’Angelo, a Roma. una mostra con questo titolo: La Sostanza dell’Effimero: gli abiti degli Ordini religiosi in Occidente. Il progetto, l’allestimento, gli approfondimenti della mostra illustravano quello che avevo sempre respirato: l’abito, la moda sono più di un passaggio effimero, perché sono eco dell’uomo e della sua storia. Era possibile infatti, proprio attraverso gli ordini religiosi, tessere il panorama dell’abbigliamento e delle relative mode dalla fine del X alla metà del XX secolo: abiti nati per confondersi con la gente del tempo e altri nati per distinguersi. Gli stessi abiti liturgici – comprese le nostre pianete o i copricapi dell’Oriente cristiano – sono fortemente imparentate con la storia e, di conseguenza, con la moda del tempo.
È il dato dell’Incarnazione. Il bello della nostra fede è che il cristiano è chiamato a leggere il Sempre nell’oggi e ad esprimere l’Eterno attraverso il linguaggio del suo tempo: senza eliminare la storia che lo ha generato e senza considerare il tempo presente incapace di recepire e di esprimere Cristo, Dio entrato nella storia. Non è qualcosa di effimero ma di sostanziale.
D’altro canto, tornando ai miei antichi studi, registro, in questi ultimi trent’anni. un panorama della moda fortemente mutato strutturalmente: il tempo quale spazio di creazione; i fenomeni sociali quali partenze per l’espressività; i Maestri quali riferimento di stile. Ugualmente la non codificazione della moda è pur sempre il rimando dei tempi presenti, come notava Giorgio Marangoni, già dirigente della nota scuola milanese, in un’analisi del costume della fine del XX secolo: «Una volta ci si occupava meno dell’elevazione delle masse corporali e più di quelle popolari, ma questo è frutto dell’individualismo imperante». Dunque un reggiseno, un tatuaggio, la stessa “non moda” sono espressioni effimere di una storia importante: la nostra vita. Tentarne la lettura è un dovere affascinante.
*parroco di Casalmaggiore