città
N.03 Settembre 2019
Gustiamo l’accoglienza e l’incontro
«Vorrei poter riunire le vostre case nella mia mano, e come un seminatore spargerle nei boschi e nei campi. Nella loro paura i vostri padri vi radunarono troppo vicini».
Così il Profeta, poeticamente evocato da Gibran, descrive la metamorfosi delle dimore degli uomini che, da spazi di comunione e di libertà, cedono al timore, sbarrando le porte ed innalzando alte mura.
In pochi versi si potrebbe così condensare la triste tentazione di ogni città.
Essere riconosciuti e sancire il codice di un’utile reciprocità sono, dagli albori della civiltà sino ad oggi, le ragioni forse più convincenti per tollerare la scomoda prossimità che pone limite all’autonomia. Spesso si convive gomito a gomito perché conviene. E l’identità – tutelata dai confini – rassicura e gratifica, coltivata in un terreno di riti e linguaggi in cui far prosperare i miti della propria bandiera e della propria storia.
Eppure ogni città (così come ogni luogo in cui si sperimenta il vivere insieme) rivela il suo volto luminoso se solo prova ad affrancarsi dalle paure che la sfigurano. La paura di ascoltare le voci che la popolano, di sperimentare nuovi equilibri, di vestire i panni dimessi dei costruttori di convivialità.
Le mura illudono di preservare dal contagio dell’umano e alla fine rendono sterili le parole e i gesti. Città e paesi possono morire di tristezza se non sperimentano i sapori dell’accoglienza ed il gusto dell’incontro.
È davvero questa l’anima di ogni città, che la terza uscita di Riflessi Magazine prova a raccontare. Senza nascondersi fatiche e paradossi del vivere insieme.