cibo
N.15 Novembre 2020
A lezione di pazienza con fave e pomodori
Ogni giorno il piccolo Sami ha seminato, annaffiato, aspettato... Il suo piccolo orto davanti a casa nato durante il primo lockdown è segno di fiducia in un futuro buono
«Guarda, qui ho piantato le fave perché alla mia nonna del Marocco piacciono e volevo coltivarle per lei».
Sami ha i capelli scuri, ricci, e tiene tra le mani un innaffiatoio mentre lo raggiungo in cortile marcata a vista da Scott e Keira, i suoi due cagnolini. Con gli occhi pieni d’orgoglio osserva il suo piccolo orto costruito insieme al papà Taoufik durante il primo lockdown. Ha solo otto anni, Sami, e una lezione a scuola sulle coltivazioni e le piantumazioni di fiori, gli ha suggerito l’idea che potesse essere proprio lui, in tempi di pandemia, a produrre per famiglia, amici e chi ne avesse bisogno, la verdura necessaria.
In questo periodo di forti restrizioni, di mascherine sulla faccia e disinfettanti per le mani, lavorare la terra è un privilegio, un modo di partecipare alla vita, qualcosa che può far sentire utili e al tempo stesso in pace. Così, Sami ha raccolto assi di legno, terra, seminato, annaffiato ogni giorno e atteso con pazienza che dai quei piccoli semini nascesse qualcosa di buono.
È domenica e il sole batte forte sul cortile di cemento, dalla finestra al piano superiore si sente la telecronaca di una partita di calcio. Tutto il resto, è silente. La casa di Sami è in aperta campagna e confina con un altro orto, decisamente più grande, quello del signor Giancarlo. È stato lui a dargli le dritte necessarie per riuscire nel suo intento.
«All’inizio avevo paura, aspettavo, annaffiavo, aspettavo ancora ma non nasceva nulla». Racconta Sami «”Quanto ci vorrà”, pensavo. Credevo d’aver sbagliato qualcosa ma poi ho capito. L’orto mi ha insegnato che per le cose belle bisogna saper aspettare. Quando sono nati pomodori, insalate, fave e meloni è stato incredibile. Non riuscivo a credere d’esserci riuscito».
L’attesa. Coltivare un orto, insegna ad aspettare e non avere fretta, a fare i conti con il tempo che si dilata. Non c’è nulla che si possa fare per accelerare un processo naturale, si tratta di familiarizzare con l’arte della pazienza, di attribuire al tempo un valore nuovo. Di camminare al passo della natura, di accettare i cambiamenti meteorologici, anche quando, minacciano il lavoro di settimane, mesi.
Ci sono distanze che la pandemia ha reso incolmabili e ce ne sono altre che ha completamente annullato grazie alla solidarietà: «Abbiamo regalato la verdura anche ad alcune persone che non potevano muoversi da casa, ai vicini, alla nonna e agli amici. Mi dispiace solo che non abbia fatto in tempo ad assaggiarla il nonno, sono sicuro che gli sarebbe piaciuta».
Già, il nonno. Quel nonno che è stato un balsamo a curare ogni ferita, a ricordare che sporcandosi le mani nella terra si finisce col nobilitare il cuore. E che, dopotutto, siamo semplicemente fatti di legami.
Lo sguardo di Sami corre verso la finestra al piano superiore. Sorride, gli chiedo come mai.
«Non hai sentito?». risponde lui.
«No, cosa?».
«Il Milan ha fatto goal. Anche questo sarebbe piaciuto al nonno».
Dopo qualche istante, Sami riprende a seminare. E lo fa, di nuovo, mentre il resto del mondo si ferma.
E con questo piccolo gesto, tanto simbolico quanto concreto, ripone nella terra la sua fiducia in un futuro buono.