scuola

N.13 Settembre 2020

LA CATTEDRA TRA I BANCHI

Una lezione non ha prezzo
se le parole sono meravigliose

Chi di noi non ha assistito almeno una volta al miracolo che trasforma l'insegnante in un maestro? E chi di noi non vorrebbe che quella passione continui anche per il proprio figlio e la sua generazione? Ecco perché (ancora) la potenza della parola supera infinitamente quella delle moderne tecnologie

Austrian National Library on Unsplash

Nella tradizione occidentale si incontrano diversi progetti di scuola ma due mi sembrano particolarmente rilevanti: quello socratico-cristiano e quello affermatosi in età moderna. Due diverse idee sia di alunno che di insegnante emergono: nel primo il discepolo è il protagonista del processo di apprendimento in quanto portatore di una verità che l’insegnante deve fare emergere; nel secondo centrale è l’insegnante in quanto detentore di conoscenze e tecniche da trasmettere all’alunno che, da testa vuota, deve essere addestrato e istruito al fine di poter esercitare il proprio dominio sul mondo. Il confronto-scontro tra l’educare e l’ istruire è antico: Socrate e i sofisti, Cristo ed i dottori della legge , don Milani e la “Professoressa” incarnano i primi il maestro preoccupato di cercare una verità che abbia un senso per l’alunno; i secondi l’insegnante preoccupato di finire il programma.

Mi sembra che ancora oggi coesistano insegnanti educatori ed insegnanti istruttori che considerano l’alunno una tabula rasa su cui scrivere ciò che presumono di sapere. Nell’era digitale, però, la rete offre conoscenze tra le più disparate, tutor che insegnano a fare e a conoscere qualsiasi cosa. In essa è presente una forma di insegnamento a distanza prima ancora che l’invisibile Covid costringesse alla chiusura delle scuole. La rete dunque sta rendendo obsoleta una scuola dove l’attività di insegnamento coincida solo con l’istruzione?

Ma senza conoscenza delle cose, dell’animo umano, della storia di una comunità potrebbe compiersi il viaggio verso il senso della personale esistenza? Alla domanda rivolta a decine e decine di alunni, nell’arco di decenni di insegnamento, relativa a cosa ai loro occhi rendesse autorevole un insegnante, la risposta è sempre stata la seguente : «Che sia appassionato di ciò che insegna e che guardi a noi come persone».

La passione come eros capace di meravigliare, trasmettere forza, unire il cielo e la terra, aprire gli occhi su molteplici paesaggi si fa carne nelle parole dell’insegnante. E’ la parola incarnata nel tono della voce, nello sguardo, in un gesto della mano, nella postura che dà forma alla realtà apparentemente caotica e innominabile, che comunica un pensiero e, con esso, un progetto,che fa esistere i fatti. Nessun fatto esisterebbe senza una narrazione capace di indicare fini e visioni di futuro,nessuna scelta sarebbe possibile senza le parole che nominano le cose,nessuna verità potrebbe essere trovata senza parole che interpellino la mente e il cuore di chi le ascolta.

La potenza delle tecnologie svanisce
di fronte alla parola
dell’insegnante appassionato
che vede in ciascun alunno
un futuro re leone

Ricordo ancora e rivivo quell’ora di lezione dove la mia insegnante di Lettere a me, alunna di terza media,spiegava il coro del Terzo Atto dell’Adelchi. Le varie tonalità di voce,la postura delle sue spalle,la fierezza del suo volto raccontavano cosa significhi diventare un popolo fiero della sua storia e consapevole delle sue potenzialità. Ella non mi spiegava solo l’Adelchi, mi raccontava anche la sua passione civile, mi invitava ad essere protagonista nel processo di costruzione della mia comunità, mi spronava a tirar fuori quel bene che solo io avrei potuto portare nel mondo. Tante altre sono state le ore di lezione dove alcuni dei miei insegnanti, attraverso il commento ad una poesia, l’analisi di un’opera d’arte, la spiegazione di un teorema mi hanno raccontato la fatica di incontrare se stessi, l’orrore di fronte al male, lo stupore suscitato dalla bellezza nello sforzo di umanizzarmi. Efficienza e velocità non interessavano agli insegnanti appassionati che ho avuto la fortuna di incontrare. Avevano a cuore l’ora di lezione, preparata, pensata, programmata, con lo sguardo rivolto a me e a ciascuno dei miei compagni, ai nostri limiti e capacità, disponibili a modificarla di fronte ai nostri sguardi.

La potenza delle moderne tecnologie svanisce di fronte alla parola dell’insegnante appassionato che vede in ciascun suo alunno un futuro re leone.

È solo per lui che plasma la materia studiata e ne fa una disciplina dotata di senso perché ciascun suo discepolo possa immaginare nuovi mondi, ordinare il caos che lo abita, riconoscere la propria umanità. Questo miracolo, che trasforma l’insegnante in un maestro, è possibile però solo là dove l’alunno vede riconosciuta la sua dignità di persona libera e pensante. Non è importante se l’alunno sia un bambino, un adolescente, un giovane; ciò che davvero conta è la fiducia, la stima, il valore che l’insegnante sa riconoscergli.

L’ora di lezione non ha prezzo perché in essa è contenuto il senso della vita stessa di colui che insegna. È ciò che gli antichi chiamavano sapienza che, come tale, può essere solo donata. Nell’ora di lezione vi è una gratuità che va oltre qualsiasi ricompensa monetaria. Sappiamo quanto in Italia inadeguato sia il trattamento salariale riservato agli insegnanti e auspichiamo che al più presto si realizzi un adeguamento congruo al loro insostituibile lavoro. Però sappiamo anche che umanizzare il cucciolo d’uomo è l’esito di una cura amorevole, di una disciplina liberante, di un sapere autentico che va oltre qualsiasi ricompensa.

Una comunità priva di insegnanti appassionati è destinata a frantumarsi, a disperdere intelligenze e ad inaridire i cuori. Forse viviamo tempi in cui a fatica si comprende l’insostituibile loro ruolo nel processo di umanizzazione. Si parla di scuola come istituzione finalizzata a supportare le famiglie nella custodia dei figli, poco si parla di scuola come luogo di cultura viva, capace di generare vita. Si è confusa l’informazione che la rete offre con la scienza e la coscienza che solo il sapere, dotato di sapore, può dare a tal punto da non riconoscere più a nessuno competenze specifiche. Si pensa di poter essere autosufficienti e autodidatti. Ma una comunità siffatta né si ama né si stima destinandosi alla rovina.

Eppure credo che se ciascuno ripercorresse il proprio percorso scolastico troverebbe almeno un insegnante che gli ha donato una scintilla di senso, un brivido di meraviglia, una domanda su se stesso e sul mondo e in quel momento desidererebbe che questo continuasse in altre generazioni.