luce

N.16 Dicembre 2020

CECITÀ

Al di là del limite c’è l’idea che ho di te

Un petardo di capodanno gli ha fatto perdere la vista a 13 anni Da quel giorno Davide ha imparato a conoscere il buio e a riconoscere la luce che non ha mai smesso di dare forma al suo mondo

Ventuno e trentatré. L’ora perfetta per un appuntamento al buio.
Dopo quattro squilli la voce allegra di Davide rischiara la stanza in penombra. L’ultimo ricordo di lui risale al 2000, nei corridoi delle scuole medie. È l’anno del Millennium Bug, dei suoi tredici anni, trascorsi tra playstation e pallone. Il futuro è un’incognita senza troppe preoccupazioni, il presente un flusso senza intoppi. Poi arrivano le vacanze di Natale, la notte di san Silvestro, la prima alba del nuovo anno, che lascia nei campi di fronte a casa Cantoni i frammenti della notte di festa. Un fuoco d’artificio inesploso, raccolto per gioco, schiude la fatalità che in un istante cambia le carte in tavola.
«Da lì, il buio».


All’altro capo del telefono, Davide riavvolge il nastro della memoria, come si fa con le storie ripetute all’infinito. La corsa in ospedale, il coma simile a un sogno denso, le bende che impedivano di vedere, o almeno così credeva. «Nessuno mi ha detto che non avrei più visto. L’ho capito durante la prima medicazione, quando ho chiesto al medico se fosse notte. Erano le tre del pomeriggio».
Vent’anni più tardi, ripercorre i primi passi al buio, guidato dalle immagini rimaste impresse nei ricordi. Descrive il modo in cui ha imparato a crearne di nuove, ad accendere i sensi, divenuti più acuti. Le sue dita sanno leggere il braille e riconoscere gli oggetti, che nella mente prendono forma e colore: «Per vederli – spiega – mi basta pensarli».

Diversa è la relazione con gli spazi, dove è importante cogliere ogni cosa: l’eco dei suoni delinea le dimensioni di una stanza, mentre uno soffio d’aria fresca sulla pelle può suggerire dove si trovano porte e finestre, punti di riferimento nella costellazione del movimento. Ogni dettaglio è utile per costruire la mappa mentale lungo cui muovere i passi; per renderli più sicuri c’è Diva, fedelissima labrador che da sei anni lo accompagna ovunque.
Il tempo insegna le nuove regole del contatto, per conoscere e riconoscere le persone: «La voce è la mia luce, perché permette di percepire ogni cosa». Il resto lo fa l’immaginazione, che ricompone il presente con l’aiuto del tatto. «Mentre parli posso capire quanto sei alta, posso indovinare la tua età, sentire ciò che provi. Se mi dai la mano, posso immaginare come sei… Anche se non posso dire se l’idea che creo di te sia o meno reale. Ma davvero importa?»
La domanda rimane sospesa nell’aria.
«Non è stato semplice infilare i panni della vita precedente», riprende. «Alle medie volevo fare un professionale, magari il meccanico, poi ho capito che il mio futuro non poteva essere in fabbrica o in un’officina. Dovevo crearmi una cultura per costruirmi un domani». «All’inizio è stata dura, più avanti ho dato ripetizioni ai ragazzi delle superiori… E ho addirittura ripreso a copiare!», scherza, ricordando come l’autoironia sia la chiave per superare le insicurezze, riallacciare legami o crearne di nuovi. «Negli anni ho imparato a selezionare: se chi ho di fronte non vede Davide ma vede un cieco, non è un problema mio. Sono ciò che sono: vedo altro, vedo oltre».


Il cambiamento non fa paura: lo dimostra la sua strada, dalla facoltà d’Informatica a Musicologia, poi il primo impiego al servizio di una software house bolognese per cui collauda videogiochi. Dal 2017 lavora come impiegato per un fondo paritetico e al 2015 è consigliere dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti – sezione di Cremona, che trasforma in una fucina d’idee: cene e aperitivi al buio, una squadra di calcio per non vedenti e un corso di danza inclusiva – il primo in Italia – per insegnare a superare le barriere invisibili del pregiudizio. «Non mi limito e non vedo limiti. Al massimo ci sbatto contro… E se non posso superarlo, lo aggiro». Come ricorda Davide, «la luce non manca»: è la fiducia nei rapporti più preziosi, come una stella polare, anche quando l’oscurità è uno stato mentale. Poi ci sono il calcio e la danza, passioni che lo aiutano a staccare la mente e rituffarsi nel mondo, con ottimismo e determinazione. «Se tutto questo non fosse accaduto non sarei la persona che sono», riflette a mezza voce. «Ognuno è frutto delle esperienze che incontra. Le relazioni che scaldano il cuore, quelle che lo spezzano». Amare, soffrire, rialzarsi, sapere su chi e su cosa contare. «Vedere o meno, cambia poco: è vita. E io non voglio perdermi nulla».
Lo sento sorridere in silenzio, chiudo gli occhi. Anche la notte sembra più luminosa.