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N.62 settembre 2025

riflessi incontra

Augusto Bagnoli: ascolto e passione per una fisioterapia… da Serie A

Curare i muscoli che si rompono, siano quelli di un professionista o quelli di un amatore, è il lavoro di Augusto Bagnoli, fisioterapista. E se lavorare con il sorriso, fa tutta la differenza del mondo, immaginatevi cosa può significare farlo con la divisa della squadre del cuore. E farlo nell'anno della storica promozione in Serie A! Sullo sgabello di Riflessi Augusto racconta un mestiere che è diventato passione (che può anche tenere sveglio la notte) e dispensa qualche utile consiglio agli sportivi improvvisati.

C’è chi sceglie una professione per caso e chi perché la sente cucita addosso, come una maglia. È il caso di Augusto Bagnoli, fisioterapista specializzato in ambito sportivo, per vocazione orientato alla cura della persona. “Sono un figlio dell’ospedale – scherza – i miei genitori erano infermieri, dopo il diploma mi sono orientato in modo naturale verso la professione che pratico tutt’ora”. 

Dopo una prima esperienza in una casa di riposo a Gottolengo, nel bresciano, ha raggiunto l’équipe di Cremona Solidale, dove ha lavorato per cinque anni. In parallelo, la passione per lo sport ha segnato la svolta professionale che l’ha portato ad affiancare squadre di basket e calcio, fino ad entrare nello staff fisioterapico della Cremonese. Un’esperienza memorabile non solo per la crescita professionale: “Per me è stato un sogno”, racconta Augusto. “Ho lavorato per la squadra che seguo da quando ero bambino, proprio nell’anno in cui, dopo 26 anni, è tornata in Serie A”. 

Lavorare in un contesto simile significa affrontare responsabilità che vanno oltre la prestazione tecnica: “Lo stato di salute di un giocatore e dell’intera squadra ti coinvolge profondamente. Tutto è orientato al momento in cui si scende in campo: per quei novanta minuti i protagonisti sono i giocatori, ma attorno a loro ruota il lavoro di tanti professionisti che fanno il possibile per consentire loro di affrontare gli avversari nelle migliori condizioni”. Oggi il corpo degli atleti è messo a dura prova da calendari serrati, allenamenti e trasferte, pochissimo tempo di recupero e richieste prestazionali altissime. “Rispetto agli anni Ottanta – spiega Bagnoli – abbiamo raggiunto livelli di performance atletica spaziali, ma il nostro corpo non si è evoluto con la stessa velocità. Nemmeno una preparazione eccellente può cancellare il rischio di infortuni”.  La relazione tra terapista e giocatore va oltre ciò che si scorge sotto i riflettori dello stadio: “Siamo tra i pochi che lavorano a stretto contatto con l’atleta, spesso in momenti delicati. Si creano relazioni profonde: con noi i ragazzi si confidano, parlano anche dei loro problemi personali”. Come ricorda Bagnoli, oltre la maglia c’è una persona: “Un giocatore è una persona fragile. Spesso sono giovani, sottoposti a pressioni enormi. Ascoltare, ascoltarsi, è il primo gesto di cura”.

Lo stesso suggerimento vale al di fuori dell’agonismo. “Oggi anche gli sportivi amatoriali puntano alla performance, senza rispettare i propri limiti e le proprie caratteristiche personali. Ciò accade anche tra i giovanissimi: spesso in campo troviamo bambini e adolescenti che non sanno come muoversi nello spazio, non sono più abituati a correre, a giocare all’aperto”. L’educazione parte da qui: “Conoscere se stessi e il proprio corpo, rispettarlo e ascoltarlo, è il primo grande atto di crescita e di relazione”.

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