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N.42 Settembre 2023

Una passione a misura di Festival (…e viceversa)

Piccoli e grandi festival spingono il cinema verso nuove forme di partecipazione, in cui la community degli appassionati trovi l'occasione per incontrarsi e riconoscersi, sul red carpet e - perché no - di nuovo in sala

Per chi ama il cinema, settembre è il mese della ripresa della stagione, quest’anno trainata dall’ampio successo di Oppenheimer (Christopher Nolan, 2023). Nonostante la durata di tre ore, il biopic sull’inventore della bomba atomica sta scalando le vette del botteghino posizionandosi al terzo posto, con quasi un miliardo di dollari incassati sui mercati internazionali, dietro a Barbie (Greta Gerwig, 2023) e Super Mario Bros (Aaron Horvath e Michael Jelenic, 2023).

Settembre è anche il mese della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia che, almeno per il pubblico italiano, riporta ogni anno agli onori della cronaca per due settimane i fasti della settima arte e del suo mondo scintillante e dorato.

Perché il cinema – occorre ricordarlo – non è solo arte, ma anche mercato, insieme di prodotti dal valore economico, talvolta anche ingente, che richiedono visibilità e attenzione in vista della loro commercializzazione. E i festival cinematografici, al pari di fiere, mostre e mercati sono un’occasione di lancio e di visibilità, una cassa di risonanza non solo per la critica (che li valuta spesso per la prima volta) e per gli operatori economici, i distributori, che ne decretano l’immissione sul mercato, ma per il pubblico che viene a conoscenza – attraverso le notizie, i dietro le quinte, i gossip – delle novità che auspicabilmente potrà presto vedere sul grande schermo.

Perché il cinema non è solo arte,
ma anche mercato,
insieme di prodotti dal valore economico

Un festival cinematografico è un grande evento che raduna un pubblico di appassionati e di curiosi in un luogo preciso, la cui identità, insieme alla storia e alle finalità dei promotori, dà origine al tema e all’immagine della manifestazione. In altre parole, un festival è un progetto – spesso un grandissimo progetto – la cui efficacia si misura in termini numerici ma anche culturali, ovvero nel raggiungimento delle finalità complessive e più profonde che la manifestazione si prefigge. Questa definizione – che costituisce l’ossatura del bel libro di Maria Francesca Piredda su I festival del cinema in Italia, prima e dopo la pandemia – consente di cogliere la vera natura di queste manifestazioni, il loro significato e la loro storia.

Certo i numeri sono importanti. L’incremento dei biglietti venduti al festival di Venezia (+ 17% rispetto al 2022, pari a 230.000 presenze) è indubbiamente un buon segnale per il cinema, che continua ad essere falcidiato dalla flessione delle affluenze nelle sale verificatasi in seguito alla pandemia. Ma questo dato dice anche qualcosa di più: ovvero che gli spettatori stanno chiedendo agli esercenti, ai registi, ai produttori un nuovo slancio, cioè di trasformare la visione in sala da un’abitudine a un evento. Questo è il motivo che spinge tanti giovani – la maggior parte del pubblico veneziano, come afferma il direttore Alberto Barbera – ad andare a Venezia: lì il cinema “si vive” in lunghe maratone quotidiane; ci si incontra e si discute tra appassionati; si aspettano i divi in passerella o i giudizi dei critici a caldo; insomma, si ha l’impressione di essere catapultati nel cuore di un grande e irripetibile evento.

Gli spettatori stanno chiedendo
agli esercenti, ai registi, ai produttori
un nuovo slancio, cioè di trasformare
la visione in sala da un’abitudine a un evento

Il possesso di un badge e di una borsa griffata, le lunghe code per entrare in sala, l’affollamento ai vaporetti per il lido identificano una comunità di persone che si sentono parte (attiva) di un avvenimento esclusivo, e che rispondono con entusiasmo all’insieme di riti che questo promuove. Chissà se questi giovani, tornati a casa e privi della forza propulsiva della comunità dei cinefili, saranno frequentatori abituali delle sale cinematografiche, o se non saranno piuttosto dei consumatori isolati di film negli angusti spazi domestici e sui piccoli schermi del computer. Per vederli tornare in sala (i giovani, ma anche tutto il pubblico) serve lavorare sul riconoscimento identitario, tornare a investire sulla creazione di comunità di appassionati, di persone che sentono di scambiare un “capitale culturale e simbolico”, come ricordava Pierre Bourdieu, nella loro partecipazione all’evento in sala.  

Ma torniamo ai festival. Richiamo di pubblico e incremento di mondanità sono gli stessi auspici con cui la Mostra internazionale dell’arte cinematografica di Venezia veniva inaugurata, prima tra i grandi eventi festivalieri nel mondo, nel lontano 1932 sulla terrazza dell’Hotel Excelsior. Si trattava di rilanciare il turismo al Lido di Venezia, rendendolo al tempo stesso un luogo un ritrovo mondano ed esclusivo, grazie all’affluenza delle star internazionali. L’anima glamour e turistica del festival veneziano si è certo trasformata negli anni, ma è ancora fortemente in auge.

Se la Mostra del cinema attira su di sé grande attenzione, non va dimenticato che il panorama dei festival cinematografici in Italia è ampio e assai articolato. Manifestazioni di lunga data hanno svolto (e continuano a svolgere) un ruolo culturale imprescindibile per la divulgazione di particolari cinematografie che non trovano spazio nel mercato mainstream: basti ricordare la Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro, Il Festival dei popoli di Firenze riservato al documentario (alla sua 64° edizione), oppure Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone che radunano cinetecari, restauratori di pellicole e i massimi esperti del settore nel mondo.

E a questi e altri festival “storici”, che annualmente si dibattono tra crisi del cinema, concorrenza delle piattaforme e difficoltà di bilancio, si affiancano numerosi grandi e piccoli festival, spesso di grande qualità e dall’organizzazione curata, frutto della tenacia e della lungimiranza di operatori culturali appassionati e illuminati, capaci di credere a un progetto culturale e di proporre uno sguardo che – pur radicato nel cuore di un territorio – abbraccia nuove prospettive, nuovi (e meno scontati) immaginari. Come il raffinato DFF, il Disability Film Festival, nato a Torino per promuovere l’integrazione.

Basta cercare, incuriosirsi, “leggere” il progetto culturale sotteso a ciascuna di queste manifestazioni e, perché no, aderirvi. E così provare l’esperienza di entrare a far parte di una piccola (o grande) comunità di cinefili, condividendo – oltre alla visione di film, alla partecipazione a eventi, all’incontro con gli ospiti – l’idea, l’anima che origina la manifestazione. Per uscire da routine di visione (e spesso di vita), e trovare un vero arricchimento. E poi tornare a guardare i film – anche in sala – con occhi nuovi, competenti e ben aperti.