giochi

N.30 Aprile 2022

RACCONTI

Ci troviamo (ancora) all’oratorio, tra bar, campetto e chiesa

Cosa resta oggi della tradizione giovanile di crescere insieme all'ombra del campanile, con amici, don, volontari, educatori appassionati ed estati che non si dimenticano

Giochi e attività in oratorio

La geniale intuizione di San Giovanni Bosco, rendere gli antichi oratori (luoghi di preghiera contigui alle chiese) centri di aggregazione giovanile, resiste nel tempo. Ma cosa significa, nel 2022, vivere l’oratorio? Lo abbiamo chiesto ad alcuni dei suoi protagonisti: giovani, educatori, volontari e un sacerdote. Per scoprire che – oggi come allora – l’oratorio è casa.
«Io e Anna ci siamo sposati nel 2011 e da allora abbiamo sempre dato una mano al nostro oratorio», racconta Lorenzo, insegnante di religione e volontario nella parrocchia di Sabbioneta. Mentre Lorenzo ci parla al telefono, la moglie esce di casa per andare ad aprire il bar parrocchiale. «Per noi donare il tempo all’oratorio è ricevere tanto di più in cambio: è come un albero con le radici sul fiume, che prende l’acqua per germogliare. Vivere l’oratorio è attingere a quel fiume e al contempo vivere all’ombra riposante della quercia, perché ci forma. Noi aiutiamo come possiamo: con il bar e con il percorso di iniziazione cristiana che porta ai sacramenti. Siccome abbiamo vissuto una bella esperienza nel corso pre-matrimoniale, oggi desideriamo che sia un luogo per famiglie. Da quando siamo sposati ci siamo sempre sentiti chiamati a continuare un percorso per famiglie giovani, insieme al parroco don Samuele. La pandemia ci aveva un po’ fermati ma abbiamo riversato la voglia di far rete nella iniziazione cristiana. L’altro punto a cui teniamo moltissimo sono i giovani. In un territorio come il nostro, povero di offerte formative e dove non ci sono posti di svago tranne qualche bar, l’oratorio è l’unico luogo di accoglienza totalmente gratuita. Così con don Alessandro (il vicario) lavoriamo perché anche gli adolescenti vivano bene le esperienze che qui si possono fare, come quella del Grest». Proprio in questo periodo dell’anno si lavora per preparare l’animazione estiva e formare gli educatori. «In questi due anni don Alessandro ha coltivato e dato fiducia a un gruppetto di ragazzi delle superiori che nei momenti liberi hanno fatto dell’oratorio la loro casa. Si sono affezionati e nella loro affezione è cresciuta pian piano anche la fede: sono diventati protagonisti dell’oratorio e in Quaresima – pensate – hanno organizzato loro degli incontri di preghiera per gli adulti. E nel farlo sono partiti dalla musica che ascoltano, dai testi che li colpiscono, da alcune letture fatte…». Le loro vite, insomma, unite “fuori e dentro” la realtà parrocchiale.

«Nel gioco c’è la verifica
della nostra umanità»

Non tutti i giovani che entrano in contatto con l’oratorio sono cresciuti in famiglie cattoliche o di fede. Anzi. Ci sono a volte ragazzi problematici, con problemi di dipendenza da alcool o droghe oppure vittime di una solitudine nascosta. «Accogliere tutti significa anche dover far fronte a situazioni a volte complesse, dove non bastano una partita di calcio o una pacca sulla spalla – racconta Emanuele, educatore e coordinatore a Calvenzano, in provincia di Bergamo e collaboratore della Federazione Oratori Cremonesi –. Per questo la direzione che stiamo prendendo nel nostro oratorio è quella di fare rete con il resto del territorio. Mettersi insieme significa essere più forti, poter farsi carico anche di situazioni pesanti e rispondere più efficacemente ai bisogni che intercettiamo. Un esempio? Il Grest estivo, qui, fatica a trovare adulti disponibili a seguire i bambini e i ragazzi. E gli adolescenti sono pochi e poco motivati. Così – grazie a rapporti coltivati negli anni – siamo arrivati ad attivare una collaborazione con il Comune per cui avremo al Grest sia educatori professionisti sia volontari legati alla parrocchia e la mensa garantita dall’Auser. In questo modo abbiamo la certezza di una competenza professionale per qualunque evenienza ma al contempo non viene meno la bellezza del mandato evangelico. Non è una partnership strutturale, ma un muoversi insieme, un cammino comune. E la Chiesa non è forse questo?».
Dello stesso avviso è don Vittore Bariselli, oggi parroco a Cassano d’Adda dopo aver servito per anni la comunità di Castelleone.
«Quando penso all’oratorio penso che è lo strumento privilegiato per essere “Chiesa in uscita”, perché regala possibilità a tutti di intercettare Gesù attraverso il calcio, la catechesi, il bar, gli incontri…».

Mentre era a Castelleone, racconta, l’oratorio è stato ristrutturato da cima a fondo in maniera radicale. Un progetto durato anni, condiviso e portato a termine nonostante alcune difficoltà. Perché ristrutturare? Solo per rendere esteticamente più bello e attraente un luogo altrimenti poco interessante per i giovani del luogo? «Niente affatto – assicura con decisione –. Ho sempre desiderato che l’oratorio potesse essere una casa dove tutti potessero trovare spazio di accoglienza, ma anche un luogo di esperienze significative (calcio, caritativa alla Caritas di Roma, esperienze missionarie…). A diversi livelli qui si può incontrare Cristo. Questa è la ragione per la quale abbiamo pensato di costruirlo nuovo. Lo abbiamo fatto perché tutti i linguaggi oratoriani potessero trovare uno spazio fisico adeguato. Ma attenzione: ogni luogo era già abitato». Si spiega: «Abbiamo creato spazi in base a esperienze già esistenti. Non abbiamo inventato dello spazio da riempire, ma realizzato spazi già riempiti da esperienze, incontri e persone. Al centro di tutto c’è il bar, perché è naturalmente un luogo di ritrovo: dal bar passi prima di entrare in chiesa per l’adorazione, prima e dopo la partita di calcetto, dopo Messa o dopo il catechismo. Il bar è come una piazza dove incrociare l’altro, dialogare. Per questo abbiamo anche “rinforzato” l’area sportiva includendo ancor di più il campo da calcio. Lo abbiamo fatto perché il gioco e lo sport educano alla fede in maniera concreta. Anche l’esperienza estiva del Grest è per noi una verifica di quello che si è fatto durante l’anno nella catechesi, perché nel gioco c’è la verifica della nostra umanità. Questo nei bambini e nei ragazzi viene fuori in maniera semplice, naturale. Per questo ridare dignità agli spazi dell’oratorio è importante: è un modo per accogliere tutti. Nessuno escluso. La via per essere quella Chiesa in uscita che il Papa ci richiama continuamente».