frontiere

N.12 Giugno 2020

MILLENIALS

Con i sogni in valigia

Il racconto della generazione cresciuta nella società liquida, che prende forma e dimensioni delle opportunità che incontra

La valigia blu se ne sta lì, ai piedi del letto. Sembra un dinosauro stanco. Sonnecchia, con una cinghia aperta e il ventre gonfio, in attesa di spalancare ancora le fauci per accogliere i pezzi di mondo che deciderai di portare con te. Il kit essenziale dell’expat comprende la moka – spesso ammirata come un pezzo da museo dai coinquilini di turno – e un pacco di pasta di vario formato, presidio insostituibile alla sopravvivenza emotiva, come il router portatile e il traduttore automatico a prova di gaffes.
Tutto il resto va nello zaino, sintesi pragmatica dell’ equilibrio tra ciò che lasci e ciò che raccoglierai lungo il percorso. In viaggio può diventare un cuscino, un armadio, un tavolo da pranzo, una boa per restare a galla quando i punti cardinali non bastano a mantenere l’orientamento. Ciò che non può essere caricato in spalla, rimane alle spalle.

Parola di Millennials, generazione con la laurea in una mano e il trolley nell’altra. Così li dipingono statistiche e proiezioni, un’istantanea approssimativa ma tutto sommato realistica, con contorni indefiniti come le prospettive di chi si appresta a varcare la soglia dei trent’anni. I millennials non hanno la fiducia nel futuro dei baby boomers, né la solidità della generazione X. Cresciuti nella società liquida, prendono forma e dimensioni delle opportunità che incontrano, come acqua in un bicchiere.

Nomadi dentro, seppur con i piedi ben piantati a terra. Sanno organizzare trasferte in tempi record, districandosi tra affittacamere, mappe metropolitane e servizi in piena sharing economy – case, auto, vestiti…- per ottimizzare i costi e massimizzare l’esperienza. Per loro volare è come prendere il pullman, un rito che si ripete al ritmo delle note di “The passenger” cantata dall’inossidabile Iggy Pop, in cima alla playlist ogni volta che si sale la scaletta di un aereo.

Ognuno con il proprio perché in tasca, sotto forma di un biglietto di sola andata, per ricordarsi che la sola certezza è il punto di partenza. E nella partenza sono maestri, un po’ meno nell’atterraggio.

Le foto rimangono sul frigo,
attaccate con una calamita
per fermare l’attimo in cui la frontiera
diventa punto di contatto

Forse nella nuova normalità sarà tutto diverso, ma quanto tempo occorre per abituarsi a perdere ciò che si dava per scontato? Lì sta la leggerezza della resilienza, maturata fuori confine. La sperimenta chi si sveglia sotto un soffitto diverso, ogni volta che cambiano le voci nel corridoio e i colori delle tazze accumulate nel lavandino.

È la magia delle case di passaggio, dove s’incontrano e si scontrano le vite di perfetti sconosciuti, come atomi impazziti in cerca di una direzione. In comune hanno l’indirizzo di domicilio, il tavolo di cucina e le ore condivise a tempo determinato. complici occasionali della stessa avventura, sospesi tra la voglia di mettere radici e il bisogno di non ammainare le vele.

Per tutto il resto c’è la tecnologia, che ci rende distanti eppure connessi ad un sistema-mondo in cui l’unico confine è quello mentale. Nell’attesa di salutarsi, di ritrovarsi, di tornare alla base, qualunque essa sia. I ricordi rimangono appesi al frigo, fissati con una calamita per fermare l’attimo in cui la frontiera è diventata punto di contatto, per un giorno o per un anno.

Il viaggio termina quando la valigia torna ad accucciarsi in fondo al letto, a riposo. Sembra fin troppo facile scivolare nelle pantofole della vita precedente, quella rimasta a casa, in cui apparentemente nulla è cambiato.

Eppure ti sorprendi ad attaccare bottone con stranieri sconosciuti per il solo gusto d’indovinarne l’accento, ti fermi agli incroci per far passare i turisti carichi di bagagli, non neghi una richiesta d’indicazioni sotto la pioggia, anche quando sei di fretta. Il frigo è più ordinato, l’armadio resta vuoto a metà e le tazze nel lavandino sono pronte all’uso per chi vorrà un caffè, nonostante tu viva sola.

Anche quando il soffitto sopra il letto è lo stesso, una parte di te rimane nelle stazioni attraversate, negli alloggi di fortuna, nel riflesso dei finestrini di ogni treno preso (o perso) per un soffio, nelle scarpe degli altri. Una nostalgia dolce, che ha il sapore del caffè filtrato. Perché alla fine manca pure quello, anche se nessuno ha il coraggio di confessarlo.