domani
N.07 Gennaio 2020
Crescere a Napoli al tempo delle Cose belle
Il documentario di Ferrente e Piperno lascia la finzione per avvicinarsi alle persone Ecco come lo "leggono" i liceali cremonesi
La fine di un film segna, di solito, la conclusione di una storia, il momento in cui lo spettatore prende commiato dai personaggi mentre le luci che si accendono scoprono sul suo volto le tracce delle emozioni provate. Con l’ineluttabilità dei titoli di coda, l’happy ending o l’esito drammatico pongono fine alle vicende dei protagonisti e, per lo più, alla curiosità di chi guarda. Perché, si sa, le storie finiscono. Solo la vita continua.
Per questo il cinema si nutre di racconti che durano quanto il tempo della proiezione. Le eccezioni – tra le più celebri, per quanto disparate, il ciclo di François Truffaut dedicato a Antoine Doinel o il più recente Boywood di Richard Linklater, che ha impiegato 12 anni per narrare la crescita del protagonista dalla scuola elementare alle soglie del college – sembrano avere a che fare non solo (o non tanto) con la finzione, ma con qualcosa che lambisce la realtà.
È piuttosto il documentario il genere che si presta a lasciare aperti i finali. Ma la scelta di indagare il futuro dei personaggi è comunque rara, quasi un lusso, perché presenta problemi complessi e di varia natura.
A correrne il rischio sono Agostino Ferrente e Giovanni Piperno, documentaristi di vaglia (e per profonda convinzione) che nel 1999 realizzano Intervista a mia madre, un documentario commissionato dalla Rai. Il film indaga la vita quotidiana, le vicende minute, le illusioni-disillusioni di quattro ragazzi di Napoli – Adele, Enzo, Fabio e Silvana, tra i 12 e i 14 anni – che vivono in quartieri popolari della città. Girato in tempi rapidi, è un racconto denso che trasuda, sotto il cielo caldo di una Napoli estiva, l’energia vitale dei ragazzi che, in modi differenti, scambiano colori, ritmi e umori con un ambiente che costituisce il loro humus, l’orizzonte prossimo dei loro riferimenti, la madre-patria.
Gomorra è vicina, si trova dall’altra parte di una strada che però sia i ragazzi che i registi non vogliono attraversare, anche a costo di pagare un caro prezzo: i primi, rinunciando a grandi speranze e aspettative economiche e sociali; i secondi, alla spettacolarizzazione della violenza e degli effetti speciali.
È così che questo film disarmato, forte dell’interesse suscitato in televisione e del rapporto di reciproca fiducia instaurato tra i ragazzi e i due documentaristi, ha un seguito: Agostino Ferrente e Giovanni Piperno ritornano dai quattro protagonisti e li filmano in più riprese a distanza di 10-15 anni dal primo incontro. «La nostra intenzione – spiega Agostino in una bella intervista pubblicata in un volume che accompagna la versione home video del DVD – era di provare a fotografare il tempo. […] Qui non parliamo solo di “personaggi”, ma anche di “persone”, la cui vita continua dopo il film, spesso rimanendone anche un po’ condizionata» (Camilla Ruggiero, Tu e Piperno non siete napoletani. Intervista ad Agostino Ferrente, in Christian Raimo (a cura di), Parlami delle cose belle. Storie di fiori tra le rovine, DeriveApprodi, Roma, 2016, p. 120).
Le cose belle – che utilizzando materiali di Intervista a mia madre, montati con riprese realizzate a distanza di tempo – contiene in sé una delle più acute riflessioni sul domani. Siamo nel 2014. Fattisi grandi, i ragazzi hanno perso lo smalto della loro esuberanza giovanile: incupiti, si sono rassegnati, ma non arresi. La macchina da presa li coglie mentre, sospesi, attraversano una città fattasi più sporca e ostile, nell’inconfessata attesa che questa restituisca loro il senso delle proprie esperienze. Ciro cammina e cammina per vendere contratti telefonici, in cerca di un amore che possa farlo sentire appagato; Fabio ha perso la parola, dopo la morte del fratello, ed è ancora alla ricerca di un lavoro; Adele, diventata mamma, senza smettere la passione per il ballo, rielabora il suo vissuto di figlia “trascurata” dalle attenzioni materne; Silvana, smagrita e stanca, si dibatte tra la malattia della madre e i problemi con la giustizia di un fidanzato e un fratello. A un’osservazione attenta, il domani dei ragazzi era già tutto nelle premesse del primo film, nelle risposte vaghe o disattese, ma vere. Così Silvana ragazzina, alla domanda «come ti vedi da grande?», risponde solo: «Più vecchia … tra 5 anni penso che sarò più vecchia. […] Di progetti ancora niente. Perché fare progetti e poi… va tutto male allora è meglio che non si fano proprio ‘sti progetti. Stiamo a posto cussì».
Testimoniare il disincanto dei giovani è un’operazione dolorosa, non solo per gli autori, ma anche per gli spettatori, ben consapevoli che la parola “domani” non ha lo stesso significato a qualsiasi latitudine della terra.
Con l’aiuto della professoressa Paola Trombini, ho voluto mettere di fronte alle storie dei quattro ragazzi gli studenti della terza A del liceo scientifico di Cremona, reduci da un incontro con Agostino Ferrente. Di seguito alcune delle loro libere osservazioni.
«Un film che aiuta a riflettere sulla vita, sul futuro che non sempre è come lo si immagina da bambini».
Khaoula
«Quali sono le cose belle della vita? Io, noi avremmo molte risposte da poter dare a questa semplice domanda. Evidentemente, però, i miei coetanei dei quartieri malfamati di Napoli, la rincorrono con fatica per tutta una vita».
Giulia
«Attraverso le storie dei protagonisti si è in grado di cogliere e comprendere una realtà che, soprattutto per noi giovani, può sembrare surreale e remota, nonostante sia più concreta e vicina di quanto si pensi».
Penelope
«Le Cose Belle è un film che parla della differenza tra il mondo ideale e quello reale».
Navjot
«Il film rappresenta una vita completamente diversa da quella a cui sono abituata. I protagonisti, da ragazzi, ignorano di non avere futuro e, da adulti, sono consumati dalle delusioni e dai problemi che incontrano di continuo. È un film difficile da metabolizzare e da capire, ma molto coinvolgente».
Aurora
«Le cose belle è un meraviglioso ossimoro. Durante tutto il film vengono illustrate le cose brutte della vita di questi poveri ragazzi e quando a una ingenua e solare ragazza si chiede “le cose belle?” non sa rispondere».
Tommaso
«Come si vede nel film e come vediamo con i nostri occhi, non tutti riescono a realizzare il proprio sogno e l’unica opzione rimanente, come dice Enzo, è “prendere quello che capita”».
Lorenzo
«Mi ha colpito molto quando il regista, intervistando le bambine di 14 anni, ha domandato loro il lavoro che vorrebbero fare; e tutte hanno risposto o la modella o l’attrice…».
Edoardo
«Noi, come tutti i protagonisti del film, abbiamo un sogno nel cassetto. Però come si fa a realizzarlo se la tua città non permette nemmeno di sognarlo?»
Marco