domani

N.07 Gennaio 2020

GENITORI E FIGLI

La sua vita dopo di noi

La Fondazione Dopodinoi nasce dalla condivisione e dall'impegno di un gruppo di famiglie con figli disabili per garantire loro un luogo e una prospettiva di autonomia «quando non ci saremo più»

«Come pensiamo al domani? La risposta immediata è: noi genitori pensiamo di non morire mai…poi in realtà ci pensiamo ogni giorno, con angoscia». Alla casa Dopo di Noi di via Cattaro non c’è più nessuno: i “ragazzi” (come li chiamano tutti, anche se la maggior parte ragazzi non lo sono più) sono andati nei rispettivi centri diurni dove trascorreranno la giornata. Gli ultimi ad uscire sono stati Roberto, bardato per il freddo in un piumino che avvolge anche la sua carrozzina, Amilcare, reduce da una settimana di “acciacchi” e con in mano la macchinina, e Anna, capelli tagliati e pelliccia perché «oggi devo essere in ordine: arriva Santa Lucia». Si ritroveranno di nuovo alla casa nel pomeriggio, con gli altri quattro “ragazzi” che abitano insieme a loro e, come in una vera e propria famiglia, si riposeranno, faranno delle attività, si laveranno, ceneranno insieme, guarderanno la tv, andranno a dormire nelle loro stanze piene di foto.
«Questa è una casa vera in cui abitano sette fratelli che giocano, litigano, si affezionano, si aiutano, vanno a fare la spesa, d’estate vanno in piscina…», spiegano Libero e Miriam, presidente ed ex vicepresidente della Fondazione Dopo di noi, genitori di Chiara, 41 anni «ma che ne dimostra 15» con un ritardo mentale dovuto alla sindrome di Sotos. Chiara abita ancora con loro ma, grazie ad un progetto della Fondazione in sinergia con Anffas, frequenta nei weekend gli appartamenti in via Dante per un percorso di avviamento all’autonomia.
«Chi ha un figlio disabile – dice Libero – attraversa varie fasi. Quando scopri la disabilità sei incredulo, poi ti attivi con specialisti vari per cercare di capire e di migliorare le sue condizioni, poi piano piano la situazione si assesta e ti convinci, ti abitui. Il figlio disabile diventa protagonista assoluto della tua famiglia, della tua vita». «Chiara non è la nostra unica figlia – dice Miriam – Abbiamo Stefano, di 18 mesi più giovane che è sposato e ha un bimbo. Da piccolo Stefano ci chiedeva: “Perché Chiara non parla?”, “Perché in paese non c’è nessuno come Chiara?”. Queste domande ci mettevano un po’ a disagio, ma abbiamo sempre cercato di spiegargli la situazione della famiglia, di coinvolgerlo, di fargli capire che Chiara aveva bisogno dell’aiuto di tutti, anche del suo, di coniugare le esigenze di Chiara, che erano molte e diverse, con le sue».
Chiara ha frequentato le elementari e le medie, poi ha cominciato la sua esperienza nel centro diurno dove va tuttora. «Intanto Stefano ha finito le superiori ed è andato all’università – racconta Libero – Ed è quando gli altri figli maturano e vanno fuori casa che ti accorgi di avere sempre con te una bambina e allora pensi al futuro…».

«Noi genitori pensiamo di non morire mai…
in realtà ci pensiamo
ogni giorno, con angoscia»

«Prima di far fare a Chiara esperienze fuori casa ci abbiamo pensato parecchio – confessa Miriam – I primi weekend in autonomia portavo Chiara indossando occhiali scuri per nascondere il mio volto triste. Mi sentivo in colpa e Chiara metteva in atto atteggiamenti per aumentare questo mio sentimento». «Mi ricordo la prima volta che abbiamo portato Chiara a fare una vacanza senza di noi a Folgarida – racconta Libero – Ci siamo fermati a fare un pic nic e c’era anche Stefano. Eravamo felici di poterle far fare questa esperienza e di dedicare un po’ di tempo a noi. Miriam invece sembrava andasse ad un funerale».
Adesso Miriam non indossa più gli occhiali scuri, crede molto nel fatto che «il dopo di noi si costruisce durante noi» e Chiara dimostra, come gli altri ragazzi, di avere voglia di autonomia. E il pensiero torna al domani. Sul Dopo di Noi dal 2016 c’è una legge. «La legge è positiva – osserva Libero – Ha dimostrato che il nostro Paese si è accorto delle nostre famiglie e dei nostri figli. Come spesso accade, però, fatica a tradursi in progetti concreti perché c’è ancora discrasia tra i vincoli legislativi e il bisogno reale».«L’angoscia dei genitori che hanno dei figli disabili – concludono Libero e Miriam – è quella di non sapere dove staranno in futuro. Non è giusto lasciarli sulle spalle dei fratelli, per entrambi. E non vorremmo che venissero messi in un istituto. Noi speriamo che la Fondazione riesca ad allargarsi per poter ospitare anche i nostri ragazzi. Per questo abbiamo un progetto sull’appartamento al piano di sopra di questa palazzina per il quale, come sempre, è fondamentale fare rete e lavorare per una sinergia tra le famiglie, tra le diverse realtà che si occupano di disabilità e del loro domani».