luce
N.16 Dicembre 2020
Dagli occhi si capisce quando la vita ricomincia
L'educazione è soprattutto contatto di occhi: così si "passa" la vita, così si costruisce la relazione Soprattutto con le mascherine
Quando si entra in una scuola elementare spariscono i cognomi e rimangono solo i nomi. Ed è così che incontriamo “la maestra Barbara” e “la maestra Giuli”: così le chiamano i bambini che ogni mattina le vedono entrare in classe e così, anche ad anni di distanza, le salutano per strada gli alunni ormai diventati grandi che a loro sono rimasti affezionati.
Le due docenti non potrebbero essere apparentemente più diverse tra loro: riccia e mora l’una, capelli lisci e castani l’altra. Eppure condividono lo stesso sguardo educativo che ogni mattina, Covid o non Covid, le fa alzare contente di mettere piedi in classe.
«Io i bambini li prendo per come sono. Non cerco di cambiarli e quello che dico sempre a loro è che non siamo qui per caso. Non siamo in classe insieme, proprio con questi compagni e queste maestre, solo per caso. Siamo stati messi qui da Qualcuno che ci vuole bene, che ci ha messi insieme per fare un pezzo di strada insieme. E così li richiamo al modo di vivere quelle ore che ci sono date. Ai bambini chiedo anche di non aver paura della fatica perché nella società di oggi il concetto di sacrificio è stato abolito, mentre la fatica fa parte delle cose belle della vita e non dobbiamo averne paura. Soprattutto quest’anno, la paura non ci ha fermato. Non andiamo in classe con la paura di ammalarci, ma con la voglia di stare e di imparare insieme».
Anche per la maestra Giuliana è così, parte tutto dallo sguardo e non a caso il titolo scelto per quest’anno scolastico dalla Sacra è “Dagli occhi si capisce quando la vita ricomincia”.
«Nonostante la mascherina obbligatoria, gli occhi dei bambini parlano. E sorridono. Ci dicono di essere contenti di essere a scuola in presenza. E per noi insegnanti il fatto di poterli guardare negli occhi è decisivo perché per noi un bimbo va guardato nella sua storia e nella sua interezza. Alla fine dei cinque anni di percorso o di un anno scolastico è bello poter vedere il percorso che ciascuno di loro ha fatto camminando insieme. Ogni mattina i loro occhi sono lì a ricordarmi perché vale la pena insegnare».
Gli stessi insegnanti, tra loro, cercano di andare nella stessa direzione. «Cerchiamo di avere uno sguardo di insieme tra noi, ciascuno con la propria sensibilità e individualità che è una ricchezza. Forti di questo possiamo poi lanciarci nel rapporto con i bambini e anche con le loro famiglie. Avere uno sguardo totale sul bambino per quello che è, per la storia che ha e non solo per le sue competenze, parte proprio dal rapporto con i genitori che curiamo in modo particolare», dice ancora la maestra Barbara. Domandiamo alle due insegnanti da dove abbiamo “imparato” questo metodo educativo, cosa le muova ogni mattina. «Io non volevo nemmeno fare l’insegnante, ma poi ho visto alcuni amici fare questo lavoro e nel farlo avevano una passione educativa così travolgente che ho voluto seguirli. La Sacra Famiglia ha una grande storia educativa, che nasce con le suore che accoglievano tutti (anche i bambini più fragili) e che poi è proseguita con la Cooperativa nata per iniziativa di un gruppo di famiglie che desideravano che i loro figli e i figli dei loro amici potessero avere un luogo come questo».
Questo amore alla realtà viene trasmesso anche ai bambini, con modalità concrete e immediatamente conoscibili anche per i bambini. «A Pasqua e Natale solitamente con i nostri alunni ci prepariamo a lungo per dei piccoli concerti nelle case di riposo: i bambini suonano e cantano per gli anziani che magari sono un po’ soli», racconta ancora Giuliana. «Sono gesti che richiedono una grande preparazione da parte dei bambini e che ti chiedono come insegnante tempo ed energie. Perché farlo? Perché sono momenti irripetibili, anche se magari ci costano qualche ora di programma. Ma vale di più aver costruito qualcosa di bello insieme. Quest’anno non potevamo andare nelle rsa e così abbiamo pensato a due gesti diversi. Un concerto nel cortile della scuola – distanziati ma uniti – che è diventato un video e poi abbiamo lavorato ad un grande mosaico a cui ciascuno ha dato il suo contributo. Il Natale, come abbiamo detto in classe, ci ricorda questo: ci viene donato un tempo di gioia e noi possiamo donarlo a nostra volta in una forma nuova. Una comunità per crescere ha bisogno di gesti che attraversino la didattica e le diano un significato sempre più bello. E questo è quello che accade ogni giorno, ogni mese e ogni anno in questa grande avventura educativa».