soldi

N.06 Dicembre 2019

PICCOLO DIZIONARIO

Definizioni

di Stefano Priori (@beru_magic)

Mi permetto di darti del tu! Se puoi recupera un mazzo di carte. “Carte Francesi”, le chiamano i professionisti, o “quelle da scala”, come le chiamavo da piccolo. Se le scorri tra le mani, se le cominci a mischiare hai già iniziato ad avere a che fare coi numeri. Non solo quelli stampati sul fronte, quelli che assegnano un valore, ma anche quei numeri che rendono il mazzo di carte, per sua natura, un po’ magico. 52 carte come le 52 settimane nell’anno. 4 semi, cuori, quadri, fiori, picche, come le stagioni e in ogni seme ci sono 13 carte come i mesi lunari; 364 è il totale dei punti delle carte che con la matta fa 365 come i giorni dell’anno. Se poi a mischiare le carte è un prestigiatore, il salto tra contare i numeri e vedere un numero, per altro magico, è cosa scontata.

Il numero magico non sta nel trucco, ovvero in quel momento in cui grazie ad un artificio meccanico, fisico, matematico o soprattutto legato all’abilità manipolatoria del prestigiatore succede qualcosa di prodigioso. Il numero magico risiede nella routine, in tutto ciò che dice e che fa il mago per arricchire, colorare e soprattutto affabulare il suo pubblico. Si tratta in buona sostanza di distrarre o comunque di attirare l’attenzione un po’ più in là da dove il trucco sta avvenendo. Il numero, è davvero magico, se lascia a bocca aperta e se fa chiedere a chi ti sta guardando “ma come ha fatto?”

Proprio quello accadrà a te, che rileggendo la prima riga di questo breve testo da destra verso sinistra leggerai, per esteso il tuo nome e cognome.

E se anche non lo hai fatto, ma solo per un momento lo hai creduto possibile hai appena assistito ad un numero magico.

di Pietro Zacchi, insegnante e coordinatore didattico

Ogni mattina esco di corsa da casa, salgo sulla mia auto e mi dirigo verso scuola. Lo sguardo è fisso sulla strada mentre la testa viaggia parallela all’asfalto e disegna linee sinuose che si intrecciano in ghirigori infiniti: mi ripeto l’ordine delle discipline da affrontare nella giornata, rivedo mentalmente il lavoro preparato e ripenso alle facce dei bambini e delle bambine che avrò davanti, ai loro sguardi, alle loro fragilità e potenzialità, a ciò che io posso fare per loro. Poi mi rendo conto che nulla è così calcolabile. Davanti ad ogni insegnante non c’è solo una classe, un numero di alunni e alunne, un insieme di bambini o ragazzini i cui genitori hanno scelto di iscriverli in quella scuola: davanti al maestro ci sono sedici, ventitré, ventinove persone che stanno crescendo e che gli sono affidate. È lì che metti in pratica, senza saperlo e senza quasi immaginarlo, quella frase della psicologia della Gestalt studiata alle Magistrali e che una piccola professoressa biondina ripeteva all’infinito all’università: «L’insieme è maggiore della somma delle sue parti». Non è solo un fenomeno percettivo: è una questione esistenziale e, per un insegnante, professionale. Ognuno di loro è parte della classe e al tempo stesso è un unicum che esige attenzioni e cure particolari. In mezzo a loro c’è un Pierino (o, se vogliamo, “il ragazzino con 104 comma 3”), una Giovanna (preferiamo “la bambina con DSA della 170 del 2010”?), un Tonino (in alcuni casi “quello con BES” secondo la legge del 27/12/2012), un Amir (sesto di sette fratelli musulmani) o un Igor (che si annoia perché “sa già tutto”): sono tutti bambini diversi di sei, sette, dieci anni che hanno bisogno di imparare e di crescere per essere se stessi insieme agli altri. E tu, maestro, sai che nessuno di loro vale meno di un altro, nessuno merita di rimanere indietro. «Non uno di meno» ci ricorda don Milani; ad ognuno la sua specifica didattica. Il bello (e il brutto) del mestiere dell’insegnante è tutto qui: far convivere in una stessa aula tante eterogeneità umane e condurre ogni persona affidata alla meta indicando la strada migliore, usando strategie e strumenti didattici spesso da costruire strada facendo, lavorando in sinergia con i colleghi e le famiglie (nelle rispettive diversità). Non sempre ci si riesce. Per far questo hai a portata di mano un numero X di argomenti e molteplici variabili da tenere in considerazione che ti fanno abbandonare, volente o nolente, l’idea di un “programma ministeriale” da portare a termine (per fortuna) per seguire la crescita di ognuno. Sta ad ogni insegnante trovare la funzione algebrica per calibrare tutto questo, se mai esistesse.

In mezzo a tutto ciò quel che conta non è la quantità di argomenti trattati o il numero dei ragazzi che affollano e scombussolano le nostre aule: ciò che conta è il sorriso che ti viene incontro in mezzo alla piazza appena parcheggi e con voce allegra ti chiede «Maestro, cosa facciamo oggi?». Quel plurale vale più di qualsiasi numero e butta all’aria i mille e mille pensieri di inizio mattina.

di Augusto Bisicchia, presidente FICr – Asd Cronometristi cremonesi “Luigi Bonfanti”

I numeri hanno sempre dominato la nostra vita in tutti i sensi, infatti, essi dicono la nostra età, individuano il nostro indirizzo con il numero civico e con il CAP e con il numero telefonico possiamo comunicare con tutto il mondo; inoltre, i numeri, sotto forma di date, mettono ordine agli avvenimenti storici.Nella nostra società politica, di tipo democratico, il numero è quello che sancisce la maggioranza e la minoranza. Per qualcuno i numeri girano come la fortuna… e si vive sperando un terno secco al lotto. Nello sport i numeri sono importanti, ci indicano i partecipanti alle manifestazioni agonistiche e qualificano i migliori atleti. Sono numeri piccoli, a volte quasi impercettibili, dentro i quali si svelano le grandi emozioni e che definiscono la carriera o addirittura la vita di un campione. Sono cifre infinitesimali che scrivono la storia di una gara, di una disciplina, dello sport tutto intero… Ecco quello che facciamo noi cronometristi: rileviamo, con dispositivi appropriati, la durata di quelle gare nelle quali il tempo è decisivo per la classifica finale. Per questo qualcuno ci chiama i “Signori del Tempo”.