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N.02 Giugno 2019

PICCOLO DIZIONARIO

Definizioni

di Veronica Signorini, triatleta

In gara sei sempre contro qualcosa. Che questo qualcosa sia il tempo o una persona poco importa. L’unica cosa che è conta è arrivare un pochino prima. 

Non dico vincere, però è importante arrivare sempre un istante prima: prima del nostro avversario o prima del tempo che ci eravamo prefissati, il quale, nonostante la nostra smania, continua a scorrere, incurante, sempre uguale, secondo dopo secondo.

Il punto focale è proprio quello: arrivare prima. Sempre prima. 

E il fatto di avere contro qualcuno che cerca di batterti, fa sì che tu ci metta tutto te stesso. 

La parola “contro” ha spesso un’accezione negativa. Essere contro qualcuno, spesso viene inteso come ostilità. 

Nello sport, invece, l’avere un avversario è lo stimolo più grande che tu possa avere. L’avere un avversario da battere, se non L’Avversario da battere, spesso è l’unica cosa che ti fa andare avanti. Chi di noi quando era piccolo, non ha mai avuto una persona con la quale era entrato in competizione? Chi non ha mai voluto prendere un voto in più di quel nostro compagno di classe un po’ secchione? Chi non si è mai “ingarellato” con l’amico nelle ore di educazione fisica? 

Senza le grandi rivalità, non sarebbero nemmeno nate le leggende dello sport. Senza Coppi non sarebbe nato il mito di Bartali. Senza la perfezione stilistica di Federer, non sarebbe nata la leggenda di Nadal, talento puro. Sulla rivalità tra James Hunt e Niki Lauda ci hanno fatto perfino un film. Fiumi di inchiostro sono stati utilizzati per raccontare le gesta di Bolt, l’uomo più veloce del mondo che correva “solo” contro il tempo.

Il mio avversario merita quindi tutto il mio rispetto. Mi spinge a superare i miei limiti e a dare tutto  me stesso per superare la linea del traguardo prima di lui. Entrambi, ci alleniamo duramente giorno dopo giorno per “arrivare prima”.

Da quando ho memoria ho sempre fatto sport. Il mio primo amore fu il nuoto. Quando ero Esordiente A (11-12 anni), la mia prima vera avversaria fu una ragazza di due anni più grande. Ricordo ancora il nome: Anna. Era una dorsista come me. Gara dopo gara, le arrivavo sempre un pochino più vicino. A Cremona, vinceva sempre lei.

Probabilmente non sapeva nemmeno di essere la mia “acerrima nemica”. A quell’età, tra i 12 e 14 anni c’è un abisso. Gli anni da adolescenti si contano come gli anni dei gatti, ad ogni anno effettivo ne corrispondono almeno sette percepiti. Grazie a lei però, iniziai a gustare il sapore della rivalità e quel sapore dolce-amaro della sconfitta che ti spinge giorno dopo giorno a dare sempre il meglio di te.

Sfortunatamente smise prima che riuscissi a batterla. Perché sono sicura che ce l’avrei fatta.

di Piero Cattaneo, coordinatore soci Banca Etica

È interessante che si pensi a Banca Etica quando in ambito finanziario si vuol coniugare il prefisso “contro”. C’è del vero e si coglie ancora oggi, dopo vent’anni dalla sua fondazione, l’effervescenza dell’accostamento della parola banca e dell’aggettivo etico.

Da un lato questa esperienza critica quelle pratiche finanziarie delle quali sempre più in tanti cominciamo ad essere stanchi: che siano quei “competenti” consigli, che vendono proposte di risparmio aleatorie, oppure interessi “golosi” in cambio… del capitale decurtato al rimborso! O ancora quelle offerte “personalizzate” poi profumatamente pagate.

Inoltre iniziamo a dubitare del valore di tante donazioni per opere meritorie, alle quale però non seguono mai parole chiare sui meccanismi speculativi della finanza, sul riciclaggio del denaro sporco, sull’assistenza tecnica al commercio delle armi, sulla trasparenza degli investimenti, sul non arrivare mai a fare il punto di ciò che con i soldi si muove. Perché i soldi spostano non solo beni e servizi, ma anche valori, pensieri, desideri sia nel senso di promuovere dignità che nel soffocarla.

E qui esce l’altro lato del discorso, quello che non punta a una desertificazione dell’ambiente in cui viviamo per poter poi far crescere ciò che sentiamo come positivo.

Piuttosto con Banca Etica si vive la dimensione del progetto che con pazienza si fa largo tra il grano e il loglio. Si vive la singolare possibilità di rendere la finanza terreno di partecipazione civile e solidale, perché i propri risparmi sono usati per dare speranza e credito a chi cerca nel lavoro la propria dignità, concreti strumenti a chi si prende cura di chi ha più bisogno o a chi coltiva progetti di pace, di giustizia e libertà.

Sono sicuro che in Banca etica c’è molto di voi che leggete, c’è dietro una storia che assomiglia alla vostra. Un mondo, insomma, che a un certo punto, insieme ad altri, ha fatto un salto di qualità, fondando nel 1995 la Cooperativa verso la Banca Etica. È stato uno sforzo di maturità, che andava a superare certi limiti: la cronica incapacità d’incidere nella realtà, l’accontentarsi di star bene nel piccolo gruppo o della testimonianza individuale, la smania del fare, senza una presa di coscienza più ampia o al contrario di fermarsi solamente e in modo retorico agli ideali.

Sul piano dell’impegno socio-economico, direi,  Banca Etica ha riscattato queste storie, spremendone il buono e abbandonando il di più.

di Silvia Farina, avvocato

Nell’ambito giuridico l’altro è la controparte. 

Purtroppo questa parola ha un’accezione negativa: l’altro è portatore di interessi opposti a quelli del proprio cliente. Siccome l’obiettivo del legale è tutelare l’interesse del proprio assistito, ciò comporta quasi sempre un conflitto tra le parti, le quali si trovano su posizioni contrarie. 

Se questo è lo sfondo, nella mia esperienza ciò che fa la differenza è lo sguardo da tenere nei riguardi dell’altro: non vederlo solo come parte avversaria ma soggetto con il quale cercare prima di tutto un dialogo, intraprendere un percorso per giungere ad un accordo. Ciò peraltro risponde ai più recenti orientamenti del nostro legislatore, che in alcuni casi ha reso addirittura obbligatoria la mediazione tra le parti.

Certo, questo dipende dalla disponibilità di entrambe le parti a cercare insieme una strada e a volerla percorrere. È un cammino non privo di fatica; ma quando si giunge al traguardo l’accordo raggiunto è più solido di qualunque decisione imposta dal Tribunale, perché è il frutto di un impegno personale.

di Riccardo Mascarini, neo battezzato

Non avrei mai pensato di prendere il sacramento del battesimo a 21 anni.

La mia esperienza personale si basa fortemente su dei “contro”.

Prima di conoscere la mia attuale fidanzata non ero un cristiano modello; non praticavo la Chiesa, ero contro molti canoni imposti da essa e non sentivo il bisogno di farmi battezzare perché la pensavo come una cosa inutile e imbarazzante.

Dopo aver però iniziato a frequentare anche gli amici di Martina e conoscere la compagnia di GS ho cominciato a ricredermi e a pormi qualche domanda.

Dopo un’anno e mezzo che frequentavo praticamente ogni sabato questo gruppo di amici ho sentito il bisogno anche io di farmi battezzare; non solo per uno sfizio personale ma anche perché tre anni fa venne a mancare mio nonno, la persona più importante della mia vita, con cui sono cresciuto. E quale modo più bello poteva esserci per poterlo ricordare in maniera ancor più forte se non attraverso la Chiesa.

Sono sempre stato un ragazzo contento, allegro e spensierato, ma da due mesi a questa parte mi sento anche più libero e tranquillo.

Ognuno di noi può essere contro a qualcosa o qualcuno finché non conosce quello che ha da offrire.

I miei genitori non mi hanno fatto battezzare da ragazzino per un motivo: spettava me decidere se un giorno ne avessi avuto il bisogno oppure no. Fino a quel giorno devo dire che la parola “contro” rappresentava il mio stile di vita, ora invece mi sento un’altra persona: più felice grazie alle amicizie, gli incontri fatti e le esperienze vissute come ad esempio un pellegrinaggio a Roma a cui ho avuto la fortuna di partecipare l’estate scorsa.

Forse, chiedendo il Battesimo, sono andato “contro” la mentalità di oggi. Stavolta però è un “contro” che mi ha riempito la vita.