sfide

N.27 Gennaio 2022

AGRICOLTURA

Educazione è innovazione. La “lezione” del mais corvino

Dialogo con Carlo Maria Recchia giovane agricoltore che ha riscoperto una varietà antica di coltura e guarda al futuro di produzioni e consumi con gli occhi delle nuove generazioni

La prima parola che ho in testa quando penso a Carlo Maria Recchia è il suo impegno. Lo incontro nella sede cremonese della Coldiretti, di cui l’imprenditore agricolo di Formigara è delegato provinciale e regionale Giovani Impresa, nonché membro del Consiglio Nazionale. L’occasione è la presentazione del progetto “Lo sviluppo sostenibile e l’educazione alimentare”, rivolto alle scuole per promuovere un contesto in cui sostenibilità ambientale ed educazione alimentare siano pilastri di riferimento. Nel 2013, alla soglia dei 20 anni, ha compiuto quello che allora sembrava un salto nel vuoto, aprendo una partita iva agricola per rincorrere un sogno: coltivare una varietà antica di mais. Nero, lucido, appuntito, con una forma strana.
Il mais corvino risale all’epoca dei Maya ed in Europa non si coltivava più dal 1700. Decido di andare a trovarlo a Castelleone, dove in un piccolo capannone ha dato forma a idee e progetti: «Sono un agricoltore di prima generazione. Frequentando l’istituto di agraria, a Crema, ho scoperto come, prima dell’avvento dell’ibrido (siamo negli anni che precedono la seconda guerra mondiale) esistevano oltre quaranta varietà di mais nella nostra zona. Arrivate dal Sud America, tra il 1500 ed il 1600, si sono evolute secondo determinate caratteristiche ambientali, diventando autoctone. Ci proposero un percorso nel quale l’obiettivo era recuperare, attraverso semina, queste varietà». Per fare grandi cose, prima del coraggio, occorre avere una visione ed una proiezione astratta di come essere possa evolvere nel tempo: «Avevo insistito affinché tra queste vi fosse anche il mais corvino. Chiesi e mi fu accordato che ne fossi il custode. Avevo 16 anni. Portai avanti questa passione. Dalla prima semina, nel 2012, raccolsi quaranta pannocchie. Volevo a tutti i costi diventare agricoltore. Non avevo terreni, macchinari, nemmeno una lira in tasca. Pensai che se avessi coltivato mais nero dove tutti coltivano mais giallo, avrei avuto una chance, nella misura in cui mi sarei potuto distinguere».

«Ho pensato
che se avessi coltivato mais nero
dove tutti coltivano mais giallo,
avrei avuto una chance»

Il primo passaggio fu analizzare, in laboratorio, le proprietà di quell’alimento dimenticato negli anni: «Nel frattempo avevo sgranato quelle quaranta pannocchie per avere più semi. Mi comunicano che quel mais contiene lo stesso pigmento del mirtillo. È ricco di antocianine, che hanno azione antiradicalica e quindi proprietà antiossidanti. Ha più proteine rispetto al mais giallo e meno carboidrati. Metto insieme tutto e mi metto al lavoro».
Attraverso piccoli investimenti, che diventano sempre più ambiziosi, Carlo Maria costruisce una struttura che possa supportare una crescita progressiva della produzione: «Oggi coltivo dieci ettari direttamente, poi stipulo contratti di filiera con altri agricoltori, arrivando a 45 ettari di campagna. È partito come un gioco, adesso ha dimensioni importanti. Si tratta di una produzione bassa, circa 35 quintali per ettaro. Attraverso un mulino a pietra di nuova concezione, produco farina. Nasce inizialmente per la polenta, oggi vendo anche a panetterie, forni e pizzerie. La faccio lavorare per produrre pasta e frollini senza glutine, gallette e birra. Ho due linee: una per i trasformatori ed una per il consumatore finale. Con un supporto di un e-commerce».
Impegno, conoscenza, innovazione.

Carlo Maria Recchia nella sua azienda a Castelleone

Nella propria attività ma anche all’interno di una associazione di cui si sente orgogliosamente rappresentante, anche come esempio per i più giovani: «Tengo molto all’attività all’interno di Coldiretti. Lo sforzo è quello di agevolare il più possibile i tanti giovani che vorrebbero fare agricoltura. Chi decide di accettare la sfida, deve essere accompagnato per poter sfruttare tutte le occasioni disponibili. Vorremmo cercare di scardinare certi meccanismi. In settori come quelli del latte, dei suini e dei polli, ad esempio, l’agricoltore non ha nessun potere decisionale sull’acquisto di materie prime, macchinari e nella vendita del prodotto. Occorre instaurare rapporti istituzionali, commerciali e politici per rendere questi meccanismi più morbidi. Ritengo, inoltre, sia necessario cercare di subire meno speculazioni dall’estero. Sono un danno per il consumatore. Su questo fronte da tempo è partita una battaglia sull’etichettatura».
Altro tema su cui si sta puntando molto è quello dell’educazione alimentare, come confermano i tanti percorsi proposti alle istituzioni scolastiche: «Parte dall’infanzia e dalle scuole primarie. C’è spesso un divario enorme all’interno della stessa classe. Alcuni bambini conoscono tanto di quello di cui parliamo loro, altri nulla. Alla base c’è la famiglia. I bambini sono dei divulgatori naturali, moltiplicatori di discorsi. Raccontando a casa ciò di cui si è parlato a scuola, nasce una discussione. Alla fine dei nostri progetti i genitori vengono poi coinvolti. Negli ultimi anni abbiamo riscontrato una coscienza maggiore, anche nelle generazioni più piccole, su temi come acqua e spreco, in termini di rifiuti, ma anche nell’attenzione all’alimentare. Merito dell’educazione civica, ma anche degli insegnanti, sensibili a queste tematiche. Mangiare – riflette il giovane imprenditore – è un atto politico. Penso sia importante formare persone consapevoli su questi temi. Cresceranno con una coscienza, una attenzione verso il consumo e faranno scelte più consapevoli negli acquisti quotidiani».

«Cresceranno con una coscienza,
un’attenzione verso il consumo
e faranno scelte più consapevoli
negli acquisti quotidiani»

Una sensibilità che va accompagnata nella sua crescita da percorsi adeguati di formazione. «A livello accademico – osserva Recchia – ad esempio il Politecnico di Milano ha avviato il corso di Agricultural Engineering. Non tutti possiamo fare agricoltura, c’è bisogno di professionalità esterne sempre più qualificate: ingegneri informatici e gestionali, per esempio, che ci aiutino ad ottimizzare la logistica, trovare materiali sostitutivi, supportarci dal punto di vista energetico nella transizione ecologica…».
La prossima sfida si chiama agricoltura di precisione: «L’obiettivo è produrre meglio, spendendo meno, utilizzando meno prodotti fitosanitari e solo dove servono, ottimizzando l’uso dell’acqua, mappando il campo in ogni suo centimetro. Però occorre poi essere in grado di far funzionare queste tecnologie. E oggi spesso non è sempre facile trovare un meccanico per la riparazione di un trattore…».