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N.52 Settembre 2024

riflessi incontra

Giorgio Palù, dal nulla alla materia: «Così l’architettura trasforma un’idea in luoghi di relazione»

Dialogo con l'architetto che ha progettato alcuni dei luoghi più suggestivi della città, tra musica, spirito e sostenibilità

Le opere d’arte – quelle vere – hanno un’anima. Che si tratti di un edificio o una scultura non importa: ciò che le differenzia è l’impronta del pensiero che le ha create, così come la loro capacità di sopravvivere al proprio tempo e diventare altro, senza smettere di parlare di sé.

Architetto, progettista, designer e artista, a Riflessi incontra Giorgio Palù, riassume così le tante sfaccettature della professione costruita negli anni, punteggiata di piccole e grandi opere. Da Cremona al mondo, andata e ritorno: nonostante l’intensa attività su scala internazionale, rimane saldo il legame con la propria città d’origine. Qui ha realizzato alcuni tra i luoghi più iconici: il Museo del Violino, l’Auditorium Arvedi – premiato con il Compasso d’oro nel 2016 – e il più recente Museo Diocesano, che quest’anno ha ospitato la mostra God Save Matter da lui firmata in un suggestivo dialogo tra antico e contemporaneo. 

Prima di essere materia, ogni progetto attraversa una profonda sintesi pratica e concettuale, necessaria a trasformare l’idea in un segno, il gesto in uno schizzo su carta, da sviluppare in tutte le sue dimensioni. Le nuove tecnologie sono diventate una preziosa estensione dell’immaginazione creativa, rendendo visibile ciò che ancora non è. 

«Lì avviene la magia della trasformazione – spiega Palù – dal nulla in qualcosa, dall’effimero al permanente. L’architettura è una forma d’arte a libertà vigilata, che deve fare i conti con regole, costrizioni e contaminazioni, cercando il giusto equilibrio con l’ambiente circostante». Non si tratta solo di una questione estetica, ma di rispetto: «Il consumo di suolo, è da evitare come la peste – prosegue – tutte le città hanno la necessita e il dovere di ricreare una loro cintura verde, riconnettendosi alla campagna, alla natura, e da lì iniziare a rileggere ciò che è già costruito, con il coraggio di cambiare, di sostituire, di migliorare. E di costruire verso l’alto: il coraggio di salire».

La riflessione si estende ai luoghi del vivere, da pensare e realizzare mettendo l’uomo al centro.

«L’architettura esiste perché le persone hanno il desiderio di stare insieme, di condividere spazi, vita, emozioni», aggiunge Palù. Lo sviluppo dei centri abitati deriva da questo bisogno profondo, che sopravvive alla dematerializzazione figlia del tempo presente: «La pandemia ci ha fatto immaginare un futuro fatto di cattedrali nel deserto, di luoghi vuoti… Ma proprio questo desiderio di vedersi, di toccarsi, d’incontrarsi, ci riporta qui. La relazione vincerà sempre».