età
N.36 Dicembre 2022
La nostra gioventù in un “tema to share”
Una classe, un tema da condividere. Un professore e i suoi studenti provano a raccontare e a raccontarsi la giovinezza. Con le sue incertezze e le speranze che la tengono accesa
Tiro le somme di un altro anno che volge al termine e che aumenta le rughe di questo enorme ellissoide che da qualche tempo mi ospita.
La mia è un’età che si mischia ad altre età: tra le mure di casa, dove le urla, i pianti e le risate di due piccole marmocchie, rimbalzano senza sosta da una stanza all’altra; tra i banchi di scuola, occupati da giovani adolescenti in cerca di una loro strada da poter percorrere.
Io non sono più loro, ma sono stato loro.
Ogni mattina entro in classe e li osservo, qualche secondo, cercando di non farmi notare. Difficilmente lo fanno, così coinvolti nei loro racconti delle otto e cinque, quando il precedente pomeriggio si trasforma in un intero capitolo di vita o quando un sogno, da poco sfumato, parla di paure che nemmeno realizzano di avere. Mi domando chi siano, chi potranno essere. Mi chiedo chi io sia per loro, chi potrò essere. Ogni giorno mi rivedo e mi ritrovo in dozzine di sfumature che mi sono appartenute o che ho osservato nei tanti occhi nei quali mi sono specchiato in passato.
Loro non lo sanno ma anche io sto imparando, perché le nostre sono età differenti ma sono età che camminano insieme.
I miei ragazzi sembrano spenti. Li hanno spenti? Li hanno tenuti spenti?
Vorrei essere nelle loro teste per rivivere quella superficialità celata segretamente dietro ad emozioni primordiali, per riprovare quell’innocenza che si è scontrata con la malizia in un violento incidente chiamato adolescenza.
Ne parlo con loro, proviamo a scrivere un “tema to share”. Un tema da condividere, a più mani, a più teste, con maggiore resistenza di difese che non possono e non vogliono abbassarsi, davanti alla mia età.
Titolo: “La nostra gioventù”
Comincia Manuel e Alex prova a completare.
«La nostra gioventù è bella, perché facciamo le cose che vogliamo».
«Siamo partiti male. Ricominciamo.» Esclama Marco intromettendosi.
«La nostra gioventù è un periodo libero. Siamo liberi. Liberi di pensare e fare più o meno ciò che vogliamo. È una delle età migliori della vita. Cioè, si fanno nuove esperienze e abbiamo tante fantasie».
«In questa classe no!». Completa ancora una volta Marco.
Francesco scruta un angolo remoto della lim, ha lo sguardo assente, accenna ad una risata. Muove la gamba sotto il banco, in modo nervoso. Non sa come intervenire. Continua a scrutare la Lim. Ora muove entrambe le gambe. Sospira. Sembra proprio una partita persa. Ma poi, esclama: «Non so che dire». Come Harper Lee insomma: il buio oltre la siepe.
Carlos interviene: «Siamo tanti ragazzi come Francesco: guardiamo troppo il telefono e ci sentiamo persi».
«Secondo te in che modo siete persi, Ehab?». Domando.
«Persi mentalmente, persi socialmente, persi… nel telefono.»
Marco non è d’accordo. Dice che questo non è bello e che non è la sua gioventù. La sua gioventù non è persa, è un periodo da godersi finché dura.
Mohssine invece racconta la paura in gergo: «La nostra vita è piena di speranze, ma anche di problemi, di timori, come l’avere brutte storie con altre persone, essere menati malissimo.»
«Sicuramente siamo cambiati rispetto a come eravamo prima. La situazione degli ultimi anni, il Covid tipo, hanno influito molto». Aggiunge Sebastian.
Lorenzo lo segue a ruota: «Tante persone hanno passato molto tempo in casa e sembra che se vedono un film in televisione, magari di gangster, il giorno dopo escono e si atteggiano a modo, minacciano gli altri, rubano, cercano di emulare».
Forse Lorenzo ha esagerato un pochino. Nessuno parla più e, ovviamente, interviene ancora Marco: «Che silenzio trombale!» esclama. «Ah no, tombale. Scusi».
Risate generali spezzano la tensione.
«Tu Mohamed, cosa ne pensi?»
«Buongiorno prof. Ah, ma ha scritto veramente?». Borbotta. «Cosa? Non viene niente. Ma lei registra tutto? Ma guarda, pf… Ma non ho detto ma guarda. Ma non ho detto così. Scrive delle cose che non ho detto. Tz…»
Sto perdendo il filo del discorso, lo stiamo perdendo tutti. Succede questo, a quest’età.
«Quindi ragazzi, dov’è la gioventù?»
«In Italia, a Cremona». Risponde qualcuno.
«Ragazzi, tranquilli, è tutto recuperabile nella vita». Ironizzo.
«Si, tranne questo». Ironizza anche Marco.
È il turno di Riccardo che prova a recuperare: «Tornando alla nostra gioventù, io penso che sia priva di personalità, tutti sono uguali e monotoni, cercano di copiare e assomigliare agli altri e se non sei il più forte sei considerato uno sfigato e per questo motivo non vieni rispettato».
«C’ho fame!». Seguono strani versi. Forse è meglio fermarsi qui, penso.
Poi Nure si lancia: «Il rispetto nella gioventù è molto importante, frase da king». Si complimenta da solo. «Se una persona sa rispettare gli altri è superiore rispetto ad un ragazzino che ti parla come se vivesse in strada da anni».
La campana sta per suonare, i ragazzi lo percepiscono esattamente come un predatore fiuta il proprio pasto a centinaia di metri di distanza. Questo esperimento è stato faticoso, però i miei ragazzi ora sembrano un po’ meno spenti, anche se forse non hanno realizzato pienamente quello che è accaduto.
Abbiamo camminato insieme, in direzioni opposte, ma verso un punto comune. La mia età verso la loro, la loro età verso la mia.
Allora ogni passo è diventato un paradosso, si è trasformato nello stesso momento che si ripete perpetuo, ma con un punto differente di osservazione, dove un’età è un ricordo, oppure un bagaglio o ancora una proiezione: è condivisione.
«Insomma ragazzi, godetevi questa gioventù finché dura, perché è la cosa migliore che vi succederà».
«Grazie Marco. Andate pure a fare l’intervallo.»
«Arrivederci prof».