frontiere

N.12 Giugno 2020

INCONTRI

«La nostra famiglia senza frontiere»

Lui è nato in Italia, lei in Corea del Sud prima di essere adottata da una famiglia francese Le loro figlie parlano quattro lingue e sono di casa a Londra, Parigi, Mosca...

Lui, Roberto (detto Pesca) è nato in Italia. Lei, Magali, è nata in Corea del Sud ed è cresciuta in Francia, adottata da mamma francese e papà algerino. La loro prima figlia, Lea, è nata a Parigi. La seconda, Mila, a Mosca. Basterebbe questo per definirli una “famiglia senza frontiere”. In più ci sono Londra, il desiderio di Barcellona, il progetto dell’Asia. E tutto in mezzo questa pandemia che non conosce confini.

I coniugi Pescatori raccontano la loro storia, a fine maggio, in videochiamata dal loro appartamento nella capitale russa dove sono rinchiusi da due mesi, mentre Mila dorme e Lea fa un gioco didattico in francese (una delle quattro lingue che conosce). «Qui siamo ancora in piena quarantena – comincia Roberto – Le scuole sono chiuse, io lavoro da casa. Stanno facendo test a tappeto. I confini sono chiusi».

Lui è cremonese, figlio di genitori piacentini. Ha studiato Economia a Milano. Durante l’università ha fatto un’esperienza di quattro mesi negli Usa: «Non ho imparato una parola di inglese – dice – ma ho deciso che dopo la laurea sarei partito per l’estero». Tornato dall’America, nel 2005, durante una serata a Milano, ha conosciuto «una bellissima ragazza francese che in realtà interessava al mio amico».

Le cose sono andate diversamente e l’amico non lo sente più. La ragazza francese era Magali che, fresca di studi in logopedia, si trovava in Italia per un’esperienza all’estero. «Siamo stati insieme a Milano per un anno e mezzo – racconta Magali – Io ci tenevo ad insegnargli il francese perché così ero sicura che sarei riuscita a portarlo in Francia». E infatti, finiti gli studi, Roberto ha cominciato a cercare lavoro in aziende francesi. Lo hanno contattato per uno stage a Parigi in una multinazionale. Da allora non ha più abitato in Italia. La coppia ha cominciato a vivere insieme nella capitale francese nel 2007, lui stagista retribuito per 1000 euro al mese, e lei logopedista in proprio. Dopo sei mesi di tirocinio, Roberto è stato assunto nella multinazionale e ha iniziato la sua carriera. Prima a Parigi e poi in giro per il mondo. «La mia – spiega – è un’azienda internazionale: ad ogni avanzamento di carriera devi cambiare paese e lo devi fare nel giro di pochi giorni. Abbiamo vissuto a Parigi per 7 anni senza pensare ad una partenza. Abbiamo comprato casa, ci siamo sposati e nel 2014 è nata Lea, ma sapevamo che poteva capitare l’occasione di cambiare».

Non abbiamo mai aspettato
di essere accolti,
siamo noi che ci adattiamo
alle nuove realtà»

E infatti, quando Lea aveva pochi mesi, l’occasione è arrivata: Londra. «È stato un trasferimento delicato – ricorda Magali – Lea è nata immunodepressa e aveva bisogno di cure particolari, io dovevo lasciare il mio lavoro, abbiamo dovuto ripensarci in una nuova città». «Nonostante le difficoltà iniziali, però Londra l’abbiamo adorata», raccontano Roberto e Magali che, nel frattempo, ha cominciato a scrivere di ristorazione ed è rimasta incinta della seconda figlia.

Purtroppo, l’esperienza londinese è terminata in fretta. «Lui è troppo bravo – scherza lei – e dopo due anni gli hanno fatto una nuova proposta». Roberto aveva chiesto di andare a Barcellona e invece nel 2017 gli hanno proposto Mosca. «All’inizio ho detto: ma cosa ho fatto di sbagliato? – ricorda Roberto – Poi ci siamo informati sulla città, sul sistema sanitario perché Magali avrebbe partorito in Russia e sulla scuola per Lea. Le condizioni economiche erano ottime e abbiamo accettato. All’inizio è stata dura, poi ci siamo ambientati».

Lea adesso ha 6 anni e frequenta una scuola trilingue (inglese, francese e russo). Mila – nome russo – di lingue a scuola ne parla due. «Con le bimbe abbiamo adottato il metodo “one person, one language” – spiega Magali – Con me parlano francese, con Roberto italiano e tutti capiamo. In casa nostra non c’è mai la traduzione. Il russo? Roberto non lo sa, io poco, Lea invece lo conosce alla perfezione: quando andiamo al ristorante traduce lei il menù».

Prima del covid, la prospettiva era quella di ripartire di nuovo, magari per l’Asia, per poi, dopo qualche anno, («quando Lea avrà 10 anni») cercare di ritornare in Europa e di stabilizzarsi «più per le bimbe che per noi».

«Questa vita è bella ma non è facile – dice Magali – Ogni volta inizi da zero e quando ti sei ambientato, cambi e ricominci da capo. Ci vuole tanta energia. Se ci siamo sentiti accolti? Non abbiamo mai aspettato di essere accolti, siamo noi che ci adattiamo alle nuove realtà».

«Vivere così – continua Roberto – ti apre la mente in un modo che non puoi capire finché non lo vivi. Le nostre bimbe sanno che siamo tutti diversi, la differenza non le spaventa, hanno una capacità di adattamento pazzesca e, in qualsiasi situazione, sono loro ad andare verso gli altri». Il rischio di perdere le proprie origini c’è, ma è più per le figlie. «Noi le nostre origini le conosciamo – dicono Roberto e Magali – e per noi accade che apprezziamo alcune cose dei nostri paesi quando scopriamo cosa c’è nel mondo. Per le bimbe è più difficile, ecco perché torniamo in Francia o in Italia per periodi lunghi per dare comunque a loro il senso delle radici».

E come la mettiamo con le frontiere? «Per noi – concludono – le frontiere hanno sempre voluto dire curiosità, andare alla ricerca di differenze e legami, ma ora è tutto diverso. La Russia ha chiuso i confini, se usciamo non possiamo più rientrare, anche se qui abbiamo casa e lavoro, e i nostri paesi ci dicono che è meglio se rimaniamo qui. Ci sentiamo come di nessuno. Questa emergenza complica la nostra tipologia di vita. Le frontiere noi non le abbiamo mai sentite molto, ma adesso le sentiamo eccome e vedremo cosa succederà».