segni

N.51 Giugno/Luglio 2024

la magia della scrittura

La rosa di carta

Scripta manent.
Ciò che è scritto rimane. Quasi fosse inciso sulla pietra. O sulla pagina. Per questo si mette tutto nero su bianco.

Scrivo perché voglio raccontare, condividere, rendere qualcuno partecipe. È questa la sfida che hanno provato ad affrontare i ragazzi di 4E dell’IC Morosini – Savoia di Milano. Accompagnati dai loro docenti, si sono sperimentati nell’arte della scrittura, con un laboratorio strutturato ad hoc che li ha condotti alla creazione di un racconto.

Riempire una pagina vuota non è mai facile, a maggior ragione quando si hanno dieci anni. Eppure,
si sono messi alla prova, spesso superando le loro stesse aspettative. Soprattutto, si sono raccontati. Hanno condiviso ciò che ha lasciato in loro un segno. Per dare un segno a chi leggerà.

Scripta manent.
Era questo il titolo del progetto.
Perché scrivere è un’esperienza meravigliosa e profondamente orientata verso il futuro.
Proprio come i bambini.
Basta leggere il racconto di Anita per averne una testimonianza autentica.


Come tutti i venerdì, avevo arte. Per fortuna.

Quella volta dovevamo fare un origami. Tutti fecero cose diverse: Giacomo una barca, Alessandro un cappello, Lorenzo un cigno… Diciamo i soliti origami.

Io feci una rosa, una rosa di carta. Mi aveva insegnato mamma come farle.

Però, se fosse stata una rosa normale, il racconto finirebbe qui. Invece… Beh, alla fine vi rivelerò il suo segreto.

Quel giorno tornai a casa soddisfatta di ciò che avevo creato, anche se alla maestra interessava di più la paperella di Michele. Quando feci vedere la rosa a mia zia, che mi attendeva a braccia aperte, sentii una strana sensazione nelle mani – forse un po’ di più nella mano destra – ma lasciai perdere, perché zia Giovanna mi venne incontro stritolandomi come se non mi vedesse da anni. In realtà ci eravamo incontrate due giorni prima, ma non importava, perché mi è sempre piaciuto essere stritolata da lei.

La cosa che mi incuriosiva, invece, fu quel morbido bruciare di carne e di pasta proveniente dalla cucina, che era a due metri di distanza da me. Qualcuno doveva aver preparato un pranzo delizioso! Entrai e mangiai con calma, gustando tutto per bene. Ma quella sensazione alla mano non se ne andò.

Il giorno dopo, sabato, mi svegliai alle 9, proprio quando inizia “Stuck in the middle” la mia serie preferita. Molto rapidamente infilai i miei vestiti e scesi per la colazione. Mangiai velocemente i cereali – ero così immersa nei miei pensieri, che mi dimenticai di mettere il latte – e tornai in camera.

Andai a lavarmi i denti per ben tre volte. La prima, pensavo di non averli lavati. La seconda, anche. Alla terza, per fortuna, finii il dentifricio, altrimenti sarei arrivata a cento… Diciamo pure che mi stavo dimenticando di vivere, perché i miei pensieri si concentravano su una strana percezione che avevo iniziato ad avvertire da quando mi ero svegliata.

Iniziai a prepararmi, e solo a quel punto capii: mi sentivo osservata. Mi girai per guardarmi intorno e vidi una cosa che mi fece impazzire, svenire e piangere… No, scherzo. Non feci nessuna di queste tre cose.

Semplicemente guardai.

Davanti a me c’era la mia rosa di carta. Molto normale, direte, niente di strano.

Ma la vidi fluttuare per aria davanti a me.

Immediatamente la afferrai e la osservai incuriosita. Decisi di tenere segreto quel momento silenzioso. Un silenzio curioso, direi, che aveva riempito la mia stanza quando avevo scoperto di aver creato una cosa magica.

Passarono giorni, altri giorni, e ancora altri, e la rosa continuava a seguirmi ovunque andassi. Poi mi venne un’idea: e se fossi stata io a seguire lei?

Detto fatto.

Uscii dal portone della scuola. Era una giornata di sole, alcune nuvole e i profumi dolci ed elaborati dell’estate mi riempivano l’anima. Anziché andare a casa, mi fermai, mi girai e dissi alla rosa che mi sarei messa in cammino dietro di lei.

Per un attimo, aspettò che mi incamminassi da qualche altra parte, ma poi capì che a guidare sarebbe stata lei. Partì andando dritta fino a un incrocio, poi girò a sinistra e, successivamente, a destra.

Conoscevo bene quella strada. Era quella che portava allo zoo più bello di sempre. Almeno per me lo era.

Proseguimmo dritto finché davanti a noi comparve l’entrata. Il cancello era di legno, di solito bagnato, ma con quella giornata di sole si era asciugato.

Lo zoo era un luogo molto allegro, sempre pieno di turisti e di animatori che, dando il loro permesso, lasciavano toccare alcuni animali ai visitatori. C’era un vociare caotico, ma carico di vita.

Ad essere onesti, la cosa che rendeva veramente speciale quello zoo, per me, era che nel ristorante non si pagava e si poteva anche fare il bis. Tutto gratis, ovviamente.

Io e la rosa entrammo. Sulla destra c’era il parcheggio, a sinistra il gorilla Ghibis, e davanti a noi il punto ristoro, da cui proveniva un profumino incantevole e delicato. A malincuore, però, dovetti lasciarlo subito: la rosa si muoveva in fretta. Passò davanti alle gazzelle, ai leoni, alle scimmie e ai serpenti.

Si fermò solamente quando raggiunse i pinguini. Come se fosse arrivata alla fine di un discorso molto lungo, riprese la sua posizione nella mia mano destra.

E mi guardò.

Dovete sapere che da sempre desideravo un animale domestico. Oltre a Giulio, il mio cugino più piccolo, che fingeva di essere un cane. Credo che la rosa lo sapesse: leggeva la mia espressione e capiva tutto.

Avevo guardato a lungo i pinguini nelle loro gabbie e immaginato come si sentissero. La rosa aveva compreso anche questo. Fu allora che decise di compiere un gesto che avrebbe desiderato fare da quando l’avevo creata: aiutarmi. In quell’istante seppe come farlo.

Uscì dalla mia mano, fece una specie di respiro e disse qualcosa in una lingua di un altro mondo. A quel punto, uno dei pinguini – quello più piccolo, che avevo chiamato Stefano – si voltò e si diresse verso il vetro dicendo: «Alessia, mi hai per caso chiamato?».

Rimasi sbalordita. La mia rosa aveva per caso fatto parlare un pinguino?! Nonostante lo stupore, cercai di mantenere la calma.

«Ciao! Come sa il mio nome?».

«Tutti ti conoscono, qui. Vieni ogni giovedì alle cinque in punto».

Stavo scoppiando. Perché la mia rosa volava? Perché mai un pinguino mi stava parlando? E in che senso tutti conoscevano il mio nome?

Eppure, a tutte queste domande decisi che avrei risposto il giorno seguente. Prima provai a chiedere al pinguino da dove venisse e se fosse mai vissuto nel suo habitat naturale. Tentai persino di farmi raccontare le avventure che aveva vissuto e come fosse la sua famiglia.

Quando la mia curiosità fu saziata, decisi di tornare a casa e dissi a Stefano, il pinguino, che sarei tornata il giorno seguente alla stessa ora.

Questa amicizia continuò per mesi.

Un giorno, però, non riuscii più a trattenermi e decisi di raccontare tutto ai miei genitori. Parlai loro della rosa volante, del perché tornavo a casa sempre alle sei e un quarto e del pinguino parlante.

Capite bene che i miei genitori rimasero stupiti, ma pensarono che quella storia fosse frutto della mia immaginazione folle, e che li stessi prendendo in giro. Eppure “per sicurezza”, il giorno seguente mia mamma decise che mi avrebbe seguita fino allo zoo.

Io ovviamente non lo sapevo, lo scoprii solo molto tempo dopo.

Passando inosservata, mi vide arrivare fino all’area dei pinguini e parlare con Stefano.

Mi raccontò di aver assistito alla scena dall’inizio alla fine e di essere rimasta così scioccata che, se qualcuno l’avesse vista camminare per strada, l’avrebbe presa per una pazza. La sera stessa raccontò tutto a papà, che elaborò un piano: per Pasqua, la festa più vicina, mi avrebbero regalato quel pinguino.

Passò un mese e arrivò il momento della sorpresa. I miei genitori, terminato il pranzo, mi consegnarono un uovo gigante. Di nuovo, io non sapevo nulla.

Ansiosa di scoprire cosa avrei trovato, lo aprii. Immaginate il mio stupore quando vidi Stefano, il pinguino che era diventato il mio migliore amico, sbucare dal pallido cioccolato al latte che lo custodiva. Ancora oggi lo ricordo come il giorno più bello della mia vita.

Ora conoscete il mio segreto, ma resta ancora una cosa da spiegare: la ragione per cui la rosa si rivelò magica. Si tratta di un mistero che è rimasto tale per molto tempo, fino a quando ho scoperto che mia zia, stritolandomi, aveva parlato con la rosa, facendole prendere vita.

Anita Delpero, 4E