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N.08 Febbraio 2020

PRODUZIONI CREATIVE

Storie di carta salvate dal… riciclo

Dagli scarti industriali di una legatoria nascono le agende "Salvapensieri" Quando un'idea incontra il materiale sempre sul punto di passare di moda

La conduttura scende dal soffitto e infila la “testa” in un cassone blu. Dalla finestrella di vetro si vede cadere una pioggia leggera di listarelle di carta. Sono i ritagli bianchi. Nell’altro cassone, lì a fianco, finiscono i pezzi di carta densamente stampata o plastificata.

Sul retro della legatoria si dividono gli scarti. «Ce ne sono sempre», spiega Vittorio Venturini, uno dei titolari dell’azienda di famiglia: avanzi, eccedenze, ritagli, copie difettose…

«Riutilizzare è meglio che riciclare», è il motto. «Perché il riciclo richiede trasporto, una grande quantità di acqua e di energia. E di solventi per “ripulirla”».

«Poi ci sono questi pezzi, un po’ più grandi e più interessanti».

Il rumore della linea di produzione sembra mangiarsi il tempo. Montagne ordinate di fogli passano alla velocità della luce attraverso la piegatura, la cucitura, la pinzatura, la chiusura delle copertine, l’imballaggio, mentre osserviamo in un angolo dello stabilimento qualche risma impolverata di pezzi tutti diversi. Ci sono liste lunghe, copertine di dvd, fogli di ecopelle, carta colorata. Semplicemente «aspettano». Ma che cosa? Cosa stanno aspettando, qui, mentre per metri e metri le macchine si mangiano carta, rilegano libri, raccolgono scarti? Aspettano altri fogli, altri brandelli di libro, di stoffa, di cartone: «Aspettano di diventare qualcosa di nuovo».

Il telefono suona spesso, ma Vittorio si prende tempo: «Vedi questo avanzo verde di copertina? Diventerà qualcosa».

Diventerà, quando ci saranno abbastanza fogli da riutilizzare, una Salvapensieri: agende di misure e colori differenti, pezzi unici «salvati dal riciclo». Meglio riutilizzare, no?

Il borsino merci la classifica come “materia prima seconda”: andrebbe smaltita, «oppure ci si può vedere un valore». Un’agenda. Un simbolo.

Ma l’idea di “Matti da rilegare”, il progetto che Vittorio – imprenditore, artista, editore… – non è una bandierina da sventolare in piazza, non è una denuncia né uno slogan. È un prodotto che teniamo tra le mani. «Ed è un esempio di come potremmo ripensare i nostri processi produttivi: le aziende dovrebbero assumere creativi, designer che sappiano immaginare una nuova vita per gli scarti dell’industria. Come facevano le botteghe artigianali del Quattrocento e del Cinquecento che producevano cose e, insieme, pensiero e arte».

Sì, perché le Salvapensieri sono belle, originali, uniche (o quasi). «Io – riflette con un sorriso Vittorio – non voglio fare “il figo”, voglio dare valore allo scarto. Anche se poi devo competere con chi è davvero “figo”». Con brand che producono in serie centinaia di migliaia di agendine, magari su un’isola del Pacifico, passando da qualche Paese fiscalmente più comodo in Europa prima di arrivare sulle scrivanie di intellettuali e manager.


«Le aziende dovrebbero
assumere creativi
che sappiano immaginare
una nuova vita per gli scarti»

Altra storia, le Salvapensieri. Ma una storia. E francamente anche piuttosto cool, di questi tempi: sai, la carta riutilizzata, l’ambiente che ringrazia, l’unicità del pezzo, le pagine realizzate con quattro tipi diversi di carta, la cover che sembra fatta d’erba… Parlassimo di marketing ora staremmo sfogliando un nuovo prodotto cult, e invece parliamo di agende prodotte decine alla volta – quando c’è abbastanza scarto – con qualcosa da raccontare semplicemente con le loro pagine bianche (o avorio, o color caffè, o carta da zucchero): «Siamo “Matti da rilegare”: pensiamo alla materia come a uno strumento narrativo. Per questo tra le nostre attività ci sono i laboratori creativi per i bimbi». Così gli avanzi di copertine del catalogo di abbigliamento sportivo affastellati alle nostre spalle sono diventati un libro a fisarmonica lungo cinque metri.

«Possiamo salvarci solo se creiamo oggetti che raccontano storie – pensa Vittorio – ma la gente non ha tempo per ascoltare, per conoscere le idee che li hanno generati, la passione di chi li ha realizzati», magari incollando a mano qualche lista di carta «salvata da riciclo». «Ci siamo abituati a comprare prodotti standard, secondo le mode del momento», troppo intenti come siamo ad usare, per pensare a come ri-usare.

Suona il telefono di Vittorio: consegne, fatture, bolle. Dalla linea di produzione escono rumorosamente pacchi di libri. Nella scatola, in magazzino, scopriamo ancora qualche agenda con le pagine «piene di nascondigli» per le storie di chi si prenderà il tempo di ascoltarle.

Tornando in città, al semaforo, un clown di strada riempie l’attesa con un numero di giocoleria. Lascio cadere qualche spicciolo nel suo cappello e faccio una domanda. «Sono della Serbia…». Poche parole e il semaforo diventa verde. Gli sarebbe stato utile allungare la mano anche verso gli altri finestrini, ma ha speso il suo tempo per raccontarmi qualcosa che ha scoperto sull’Italia. Alza le spalle e mi saluta saltellando verso il marciapiede con un sorriso. Aspettando che il semaforo torni rosso.