partenze
N.37 Gennaio 2023
Libri e guantoni in valigia: così Lorenzo ha scoperto l’America
Dopo i Mondiali giovanili in Azzurro, una convocazione in Champions League con il Milan e una serie di esperienze poco fortunate nel professionismo, Lorenzo Ferrari è partito per gli Stati Uniti per riprogettare il futuro attraverso studio e... parate da campione nel suo nuovo mondo
Le case di Greenwood, placida cittadina di 22 mila abitanti nel cuore della South Carolina, sono tutte uguali. Bianche, perfettamente schierate ai due lati della strada, circondate da un giardino, la bandiera a stelle e strisce esposta che sventola verso l’esterno. In questo rassicurante angolo di America rurale vive oggi il cremonese Lorenzo Ferrari, 26 anni, portiere con trascorsi a livello professionistico nel settore giovanile del Milan, nelle Nazionali Under, nel Verona e poi in vari club di Serie C (Rimini, Arezzo, Siena).
Una seconda vita iniziata alla fine della scorsa estate, quando Ferrari ha attraversato l’Atlantico per abbracciare la carriera di “studente-atleta”, reclutato dalla Lander University. Obiettivi: aprirsi nuovi orizzonti professionali e umani, dimenticare le sofferenze dell’ultimo periodo italiano. E soprattutto, immergersi nel sorprendente mondo del soccer (come gli statunitensi chiamano il nostro calcio).
A cinque mesi dall’approdo a Greenwood, la scommessa americana del ragazzo del quartiere Sant’Ambrogio si sta rivelando vincente. Lorenzo frequenta con profitto il Master in Business and Administration, prezioso mattoncino da aggiungere al percorso universitario avviato già in Italia con la laurea in Scienze Motorie. Nel frattempo, le sue qualità non sono passate inosservate nemmeno negli stadi del calcio universitario. Al termine della stagione autunnale 2022 (tutta concentrata in tre mesi) ha ricevuto il premio di miglior portiere della South Carolina, è stato inserito tra le riserve della Top 11 dell’intera lega universitaria. Tra i pali dei Bearcats ha inoltre conquistato il campionato statale e sfiorato le finali dei playoff nazionali, fermandosi solo ai rigori dei quarti di finale. Un’esperienza rigenerante, quasi liberatoria. Distante anni luce dalle rigide consuetudini e dalle precarietà di gran parte del calcio professionistico italiano. Quello fragile, di provincia, oscurato dai guadagni plurimilionari di poche stelle della Serie A. Quello di cui Lorenzo non fa più parte.
Momento di rottura
Dietro ogni partenza, ogni addio, ogni storia di migrazione, c’è sempre un momento di rottura che ci spinge a voltare pagina. Per Lorenzo, tutto è iniziato nel febbraio 2020 quando giocava nella Robur Siena. Durante una partita amichevole, un intervento in uscita porta il suo gambone in iperestensione a piegarsi bruscamente, schiacciata dallo scontro fortuito con un compagno di squadra. Per il portiere cresciuto con l’amico Davide Calabria nel vivaio rossonero, già tormentato in passato da vari infortuni, si tratta dell’ennesimo trauma.
«Un momento tremendo – ricorda Lorenzo, mentre si trova a Greenwood, appena rientrato dopo le vacanze natalizie trascorse a Cremona, e si sta preparando per la sua sessione quotidiana di allenamento – Una settimana dopo essermi rotto il ginocchio a Siena, è arrivato il dramma del Covid. Quindi il lockdown, la sospensione delle attività, i diffusi problemi economici. La proprietaria del Siena ha chiuso la sua azienda e il club, con il quale avevo un contratto in fase di rinnovo, è fallito. Nel giro di pochi giorni mi sono trovato infortunato e senza più un lavoro. Immaginate che batosta».
Nel 2013 Ferrari aveva partecipato al Mondiale Under 17 ed era stato convocato da Massimiliano Allegri, allora allenatore del Milan, per una trasferta di Champions League contro il Celtic di Glasgow. Ricordi lontani nel periodo nefasto della pandemia, quando il portierone si è ritrovato solo a casa, dimenticato dal calcio professionistico, con un infortunio da superare e un futuro senza più certezze.
«Non è facile per un portiere trovare una squadra in Serie C, perché le regole favoriscono l’utilizzo tra i pali dei cosiddetti “under” e arrivato a 24-25 anni, paradossalmente sei già troppo vecchio. Pur di tornare a fare ciò che amo mi ero addirittura proposto a qualche società della zona, senza ricevere risposte. Così ho provato a ripartire dalla Serie D, prima a Legnano e poi nella Tritium, ma il Covid e un altro problema muscolare mi hanno costretto di nuovo ai box. Poi, una sera, mentre mi allenavo con la Soresinese per tenermi in forma, mi sono rotto un dito. Tanta sfortuna, certo, ma la verità è un’altra: il corpo di un atleta alto un metro e novantacinque, muscolarmente pesante, abituato ad allenamenti di un certo tipo, richiede strutture e strumenti di gestione del corpo che nella maggior parte delle società dilettantistiche non esistono. A quel punto, nella fase forse più buia della mia vita, ho iniziato a cercare un cambiamento netto. Mi sono detto che non avrei navigato a vista giocando nelle serie inferiori con poche motivazioni, che non sarei stato uno dei tanti destinati a concludere precocemente la carriera senza aver nulla di concreto in mano, e pur di trovare una strada sarei stato disposto anche a cambiare continente. Così è stato».
Rivolto lo sguardo agli Stati Uniti, Lorenzo ha caricato alcuni highlights delle sue prestazioni sulla piattaforma di reclutamento delle compagini NCAA e nel dicembre 2021 ha effettuato una sorta di provino a Roma. A quel punto, numerosi club della lega universitaria si sono fatti avanti e la scelta finale del goalkeeper cremonese è ricaduta su Greenwood: la realtà capace di garantire il miglior abbinamento tra l’offerta economica e la possibilità di proseguire il percorso di studi con un Master altamente formativo.
«Per noi comuni mortali, frequentare un corso universitario di buon livello negli Stati Uniti sarebbe praticamente impossibile senza una borsa di studio, i costi delle rette sono elevatissime – prosegue Lorenzo – Il mio curriculum calcistico è stato decisivo affinché potessi tuffarmi in questa avventura. Così, oggi, eccomi a frequentare un Master in lingua inglese riconosciuto in tutto il mondo, ad internazionalizzare il mio bagaglio culturale, ad immaginarmi nel mondo del lavoro con un ruolo diverso. Lo sport business è un settore in grande espansione e in futuro potrei unire le competenze calcistiche ed economiche per crearmi una nuova carriera. La vera differenza tra l’Italia e gli Stati Uniti è proprio questa. Da noi, per avere successo, devi trovarti nel posto giusto e nel momento giusto, devi approfittare di determinati agganci, insomma… le classiche situazioni che tutti conosciamo. In America invece hai la sensazione che se vuoi raggiungere un obiettivo, realizzarlo è davvero possibile. Senza raccomandazioni o spinte di nessun genere. Basta lavorare duramente e continuare a credere nel proprio sogno».
Il soccer tra fast food e Coppa del Mondo
Nel soccer universitario Ferrari ha scoperto un mondo tutto nuovo. Ancora arretrato rispetto al calcio europeo sotto l’aspetto tecnico e metodologico, certo, ma anche ricco di potenzialità e di visioni.
«Da una parte giocare qui è disorientante, per uno cresciuto nel Milan, perché ti ritrovi a mangiare insalate di pollo in un fast food prima di una partita decisiva, la preparazione tattica è approssimativa, si punta soprattutto sul fisico e sulla forza. Il calcio viene vissuto intensamente, ma senza esasperazioni. Altra particolarità: anche se le squadre sono composte perlopiù da studenti-atleti stranieri, prima di ogni partita viene suonato l’inno nazionale americano, che tutti cantano a squarciagola. Lo sport universitario è pervaso da queste forme di patriottismo. D’altra parte, noto che il soccer sta crescendo velocemente e l’orizzonte del Mondiale 2026, che si giocherà proprio qui in Nord America, moltiplica l’entusiasmo. L’università nella quale studio è dotata di strutture sportive paragonabili a quelle di una società del livello dell’Hellas Verona, nella nostra Serie A, giusto per farvi un paragone con una realtà nella quale ho lavorato. E poi gli americani stanno importando tecnici dall’Europa. Visto dall’interno, è un movimento destinato prima o poi ad esplodere e raggiungere grandi risultati».
Nei Bearcats, oltre alla miglior condizione fisica, Ferrari ha ritrovato anche la fiducia necessaria per tener viva la fiamma di una passione che non si è mai del tutto spenta.
«Dedico buona parte della giornata allo studio. Ma per il resto continuo a vivere, ad allenarmi, a ragionare come un calciatore professionista. Anzi, proprio grazie alla modernità delle strutture e delle palestre messe a disposizione dall’università, ho giocato 24 partite di fila senza alcun problema. La stagione autunnale qui è molto intensa, ogni tre giorni si scende in campo. Questo non mi ha impedito di tornare ai miei livelli, di riscoprire il piacere del gioco e della bella parata e, se me lo consentite, anche di prendermi qualche piccola rivincita personale».
«Resto convinto – conclude Lorenzo – che, senza infortuni e con un’adeguata cura del corpo, potrei ancora essere protagonista anche in Italia. Posso rimproverarmi poco, ma il passato mi ha lasciato addosso delle ferite, non lo nascondo. Ma grazie a questa esperienza in South Carolina sto iniziando a guardare al futuro con occhi diversi. In un certo senso partire mi ha permesso di rinascere, perché gli ultimi due anni erano stati duri, veramente duri».
A volte partire è l’unica scelta. Ognuno di noi, ad un certo punto, ha sentito che era il momento di andarsene, di cambiare direzione alla nostra vita o al nostro lavoro, e di farlo alla svelta, prima che la pigrizia inghiottisse le nostre ambizioni e frenasse le nostre scelte. Serve coraggio, però, per riuscire davvero a cambiare le cose. Un coraggio come quello di Lorenzo, che ha mollato tutto, ha messo in valigia libri e guantoni, ed è partito con un biglietto di sola andata. Alla scoperta della sua America.